FUTUREHEALTH: Governo del valore in sanità, la vera innovazione

(Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu)

L’innovazione di valore in sanità

L’utilizzo delle risorse in sanità può essere analizzato sotto diverse lenti: quella degli sprechi e delle inefficienze, dei livelli di servizio, del valore generato. Sono tutte lenti utili, ma forse quella più interessante, in questo momento, è quella del valore. Infatti, se approfondiamo ad esempio il tema degli sprechi in sanità, questo si sviluppa su due direttrici. Una riguarda le cattive pratiche di amministrazione (frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, inefficienze amministrative) e vale circa il 43% degli sprechi totali stimati. L’altra direttrice riguarda invece la qualità e il valore dell’assistenza, in particolare rispetto al sovra-utilizzo di servizi non indispensabili, il sotto-utilizzo di servizi efficaci e appropriati e carenze di coordinamento dell’assistenza. Questa seconda parte si stima valga il 57% degli sprechi totali.

Stima originale da rapporto GIMBE 2017, poi ripresa nei rapporti successivi (www.rapportogimbe.it)

In realtà il corretto governo del valore, in sanità come in qualunque altro ambito di applicazione dell’ingegno umano, ha una caratteristica unica. Infatti, mentre la doverosa riduzione di uno spreco porta ad un beneficio economico generalmente pari al valore dello spreco stesso, la gestione virtuosa del valore spesso genera come effetto collaterale dei moltiplicatori indotti che possono aumentare anche di un ordine di grandezza il beneficio totale. Insomma, lavorare sugli sprechi è un investimento sicuro, ma a rendimento limitato. Lavorare sul valore è un investimento con maggiore incertezza, ma con potenziali margini di guadagno elevatissimi. Si parla molto di innovazione in sanità, e quasi sempre si pensa all’innovazione tecnologica o scientifica. Nuove diagnostiche, strumenti digitali sempre più sofisticati, nuovi farmaci o nuove tecniche chirurgiche. Questo non è sbagliato, ma a mio parere non è l’innovazione più importante. La vera innovazione in sanità, quella che potrà cambiare (in meglio) le regole del gioco, non sarà quella tecnologica o farmacologica, ma sarà quella del governo del valore. Perché le altre innovazioni, se non inserite in un framework di governo orientato al valore, potrebbero paradossalmente essere elementi di disruption negativa del sistema, con l’aumento smisurato dei costi a fronte di tecnologie o terapie di limitata efficacia. È il condizionale forse è di troppo, perché si tratta di fenomeni già visti e ampiamente documentati.

Il tema è prettamente di governo o, come dicono gli inglesi, di Governance. Come ci insegnano i framework più accreditati[1], la governance ha tre obiettivi: ottimizzare i rischi, ottimizzare l’utilizzo delle risorse e realizzare i benefici e il valore. Focalizziamoci allora su quest’ultimo punto nel contesto sanitario.

Alcuni framework per la gestione del valore

Premetto che non farò una disamina di tutti i possibili framework teorici di gestione del valore in sanità. Piuttosto mi focalizzerò su tre framework che hanno una certa rilevanza e diffusione: “Lean Production” applicata alla sanità, la “Value Based Healthcare” e il “Triple Aim” (o “Quadruple AIM” nelle sue evoluzioni).

Partiamo dal Lean, che affonda le sue radici nel TPS o Toyota Production System. Si tratta di un framework metodologico sviluppato nell’ambito della produzione industriale (automobilistica in particolare) da Taiichi Ōno tra il 1950 e il 1975. Tutto parte dalla definizione del valore, sempre nell’ottica del cliente finale, e dalla parallela ricerca ed eliminazione degli sprechi. I cinque principi cardine sono:

  1. Definire il valore dal punto di vista del cliente (ciò per cui il cliente è disposto a pagare)
  2. Identificare il flusso del valore (value stream)
  3. Far scorrere il flusso delle attività
  4. Implementare un sistema di “pull” (ossia ogni attività viene realizzata solo quando viene richiesta “a valle”)
  5. Ricercare la perfezione tramite continui miglioramenti (Kaizen).

Ci sono diverse realtà in Italia che applicano con costanza e determinazione i principi Lean per migliorare i processi sanitari. Tra gli “storici” ci sono certamente l’A.O. Universitaria di Careggi, l’Istituto Clinico Humanitas e gli Ospedali Galliera. Ma per avere il polso su cosa si stia facendo in Italia sul tema, basta dare uno sguardo al sito Lean Award[2], in cui vengono premiate le realtà che ottengono i migliori risultati.

Che benefici può portare il Lean in una realtà sanitaria? Nella mia esperienza (ho vissuto in prima persona un progetto di ottimizzazione Lean in Fondazione don Gnocchi) tantissimi. Se avete provato almeno una volta a vivere un processo sanitario da paziente con l’occhio attento ai processi, avrete notato gli innumerevoli sprechi: di tempo (quante attese inutili), di materiali, di risorse preziose sotto o sovra utilizzate… Gli esempi potrebbero essere infiniti. Dalla gestione dei pre-ricoveri e dei ricoveri, all’ottimizzazione dei flussi dentro i reparti e tra reparti, alla gestione snella dei magazzini e dei consumabili, alla gestione dei flussi dei pazienti ambulatoriali, per citarne solo alcuni. Tra l’altro, dove ho visto applicare il lean in concomitanza alla digitalizzazione dei processi, i risultati sono stati incredibili. Infatti in questo approccio, invece di digitalizzare processi disfunzionali sprecando risorse e spesso distruggendo valore, si ripensa prima il flusso, a partire dal valore, e poi lo si digitalizza.

Il secondo framework di gestione del valore, e forse il più acclamato in questo momento, è la Value Based Healthcare o VBHC. È un framework che nasce da M. Porter della Harvard Business School[3]. Come spesso accade, molti guru americani si interessano della sanità una volta che hanno passato i 50 anni. È successo a Porter con la VBHC, così come a Christensen con il suo interessantissimo libro: “The Innovator’s Prescription”[4]. Sarà un caso? O forse, come esseri umani, abbiamo bisogno di sperimentare con mano i processi sanitari per sentire l’urgenza del cambiamento? Comunque, tornando a Porter, la sua proposizione si basa su un’agenda strategica in sei punti:

  1. Organizzazione di unità di cura integrate (IPU)
  2. Misurazione dei risultati (outcome) e dei costi
  3. Revisione modelli di remunerazione (pagamenti a pacchetto)
  4. Integrazione assistenza
  5. Superamento limiti geografici
  6. Piattaforma tecnologica integrata e abilitante.

Senza entrare nel merito dei singoli punti, sottolineiamo che un aspetto nodale è quello della misurazione del valore (punto 2). Infatti, il valore per Porter è definito da una formula in apparenza semplice:

Valore = Outcome / Costi

La semplicità è solo apparente[5] perché, se già la misurazione del costo legato ad un outcome specifico non è sempre banale in sanità, la definizione e la misurazione degli outcome lo è ancora di meno. C’è un tema di normalizzazione delle misure (in modo da non penalizzare chi gestisce i casi più gravi) e c’è un tema di confrontabilità dei dati. Se poi analizziamo gli altri elementi dell’agenda, dalle IPU ai modelli di pagamento alle piattaforme, scopriamo che sono tutti temi fortemente problematici almeno per la sanità italiana. In Europa (geografica) i casi del Galles e dell’Olanda sono quelli più interessanti. Vi sono poi diverse realtà ospedaliere (il Karolinska in Svezia, ma anche Humanitas o il S. Raffaele in Italia) che stanno lavorando sulla VBHC. Tuttavia, il livello regionale è quello minimo sensato per un approccio di questo tipo, perché può andare ad agire in modo efficace su tutti i livelli necessari come le IPU o la revisione del sistema dei pagamenti.

Per chiudere la carrellata facciamo un cenno ad un terzo framework, chiamato Triple Aim (o quadruple Aim, quando viene giustamente incluso anche il tema del benessere degli operatori sanitari).

 

Il framework ha 4 capisaldi:

  1. L’esperienza del paziente
  2. La gestione della salute a livello di popolazione
  3. La riduzione dei costi
  4. Il benessere degli operatori sanitari.

Vanno citati anche ulteriori approcci, come One Health dell’OMS, che propone un approccio olistico alla gestione della salute e che include, oltre all’essere umano, anche l’ecosistema e gli animali con cui si relazione. Tema particolarmente interessante dopo la recente esperienza pandemica.

Alla fine di questa carrellata riassumo alcune riflessioni:

  1. I metodi e i framework non mancano, va scelto quello più coerente con il contesto culturale e operativo. Ad esempio: possiamo agire su tutti i livelli della VBHC (inclusa ridefinizione del modello di pagamento) perché ci collochiamo a livello regionale o statale? Allora la VBHC è un metodo molto interessante così come il Triple (Quadruple) Aim. Oppure possiamo agire solo a livello di singolo ospedale o struttura? Allora forse il Lean può dare risultati più tangibili…
  2. Da un certo punto di vista, come spesso accade nella vita, è più importante scegliere una visione e un metodo (anche imperfetto) che il metodo stesso. Come hanno magistralmente dimostrato Kaplan e Norton in “The Execution Premium”[6]: non è così fondamentale avere la strategia perfetta. L’importante è averne usa ed eseguirla con metodo e disciplina. Anche un singolo ospedale, ad esempio, può trarre beneficio dalla VBHC, pur con i limiti visti, se porta avanti con determinazione e coerenza l’implementazione delle componenti rilevanti e applicabili della Strategic Agenda.
  3. Per massimizzare il valore, una visione è un’azione di sistema sono indispensabili. Per essere più concreti rispetto al contesto italiano: anche se vale quanto detto sopra sulla possibilità di un singolo ospedale di applicare parzialmente la VBHC o il Triple Aim, questi approcci devono essere abbracciati almeno a livello regionale per coglierne pienamente i benefici. Il caso del Galles dimostra che quello regionale è un livello coerente.

Ruolo delle piattaforme tecnologiche per la gestione del valore in sanità

Concludo con una riflessione finale sulle piattaforme tecnologiche abilitanti. Porter, con grande lungimiranza, ha previsto esplicitamente come punto della sua Strategic Agenda il tema delle piattaforme tecnologiche integrate ed abilitanti. Questo perché la sanità è un contesto estremamente complesso e il tema delle “telemetrie”, ossia delle misure a distanza per capire se stiamo andando nella direzione giusta, è fondamentale. Focalizzandoli per ora sul contesto specifico della VBHC, si possono identificare diverse componenti delle piattaforme abilitanti:

  • Componente per la raccolta degli indicatori di outcomes e di esperienza, ossia i Patient Reported Outcome Measures (PROMs) e i Patient Reported Experience Measures (PREMs)
  • Sistemi di misura e monitoraggio 24×7 dello stato dei pazienti
  • Electronic Health Record evoluto, in grado non solo di tenere traccia del percorso del paziente a livello di singolo episodio, ma di fornire una visione integrata poli-struttura della storia clinica
  • Strumenti di AI (Artificial Intelligence) per supportare il personale sanitario nella diagnosi e nella cura, oltre che nella documentazione clinica. Molti passi avanti si stanno facendo in questo senso, sia con strumenti di AI generalisti come GPT-4[7] che con strumenti verticalizzati come Med-Palm[8]
  • Gestore dei patways e dei protocolli di cura
  • Strumenti di clinical collaboration per favorire la collaborazione trasversale tra clinici (e per rendere efficaci le IPU)
  • Gestore delle anagrafiche e dei dati codificati. Questo è un vero punto dolens per un sistema sanitario frammentato come il nostro.

L’elenco presentato non ha l’ambizione di essere esaustivo. Piuttosto è un punto di partenza, focalizzato sulla VBHC, che definisce alcuni capisaldi fondamentali, non banali da realizzare in molte strutture. Inoltre, quello che Porter ha esplicitato rispetto alle piattaforme abilitanti è vero per qualunque approccio di gestione del valore su scala sistemica, che è l’unica che permetta di raggiungere risultati appunto di sistema.

Purtroppo (in particolare in Italia, con la regionalizzazione della sanità) vi è una frammentazione esiziale di piattaforme, dati codificati, processi e approcci di cura. Recentemente alcune regioni hanno avviato grandi progetti di razionalizzazione ma, essendo mancata la parte di co-progettazione e di revisione dei processi, si sono dimostrati dei rimedi peggiori del male. In un contesto del genere, prima di poter implementare la VBHC o altri approcci simili, serve un gigantesco piano di change management ed un leadership “sapiente” a livello regionale unita ad una governance nazionale.

Non dimentichiamo inoltre che l’utilizzo di strumenti digitali di per se non garantisce nulla. Infatti, è stato dimostrato[9] con diversi studi che l’introduzione dell’EHR è uno dei fattori che più incide di più sul burn-out del personale sanitario. Purtroppo, a tutt’oggi ci sono diverse realtà che non si pongono il tema del valore in modo esplicito e che in molti casi non si pongono nemmeno l’obiettivo più basilare di rivedere e ottimizzare i propri processi e il proprio flusso di lavoro. A volte, in alcune strutture sanitarie (e non solo), si ha la sensazione che le cose accadano senza una regia e un pensiero, semplicemente per ragioni storiche o contingenti, stratificando sistemi informativi più recenti su piattaforme obsolete. Questo crea ridondanza nell’inserimento dei dati, frustrazione e, appunto, burn-out. La giustificazione al mantenimento di pratiche non ottimizzate è quel: “Abbiamo sempre fatto così”, che è la singola frase che ha distrutto più valore nella storia dell’umanità di qualunque altra cosa. Queste sono le situazioni più critiche, quelle per cui quanto detto fino ad ora ha poco senso perché si tratta di una risposta ad una domanda che non si pone. In queste situazioni bisogna fare prima un lungo e complesso lavoro culturale. Per concludere con una nota di speranza: c’è molto da fare, ci sono evidenze che valga la pena di fare lo sforzo e… è un lavoro estremamente entusiasmante. Perché questo è il momento di fare il vero passo di innovazione in sanità, l’innovazione basata sul valore. Infatti, con le crescenti pressioni demografiche ed economiche e le tensioni sempre più visibili all’interno del sistema sanitario, il sistema sanitario universalistico di domani o sarà basato sul valore o non sarà.

[1] https://www.isaca.org/credentialing/cgeit

[2] https://www.leanaward.it/

[3] Porter M. (2010), What Is Value in Health Care?, The New England Journal of Medicine

[4] Christensen, Clayton M.; Grossman, Jerome H.; Hwang, Jason (2008), The innovator’s prescription: a disruptive solution for health care, New York, New York, USA: McGraw-Hill, ISBN 978-0-07-159208-6.

[5] Come ben spiegato anche in questo studio di Harvard business Review Italia: https://www.hbritalia.it/userUpload/Implementare_il_Value_Based_Healthcare_in_Italia.pdf

[6] “Execution Premium” – 17 giugno 2008 – Robert S. Kaplan (Autore), David P. Norton (Autore) – Ed. Harvard Business School Press

[7] “The AI Revolution in Medicine – GPT-4 and beyond” – 2023 – P. Lee, C. Goldberg, I. Kohane – ed. Person)

[8] https://www.agendadigitale.eu/sanita/oltre-chatgpt-il-futuro-e-delle-ai-specializzate-gli-scenari-in-medicina/

[9] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35062195/

 

Perché gli sviluppatori (e molti altri professionisti IT) si stanno facendo fregare dallo “smart working” – Ovvero dell’importanza dell’amigdala

Una riflessione su una trappola in cui molti professionisti IT stanno cadendo…

(Why developers (and so many IT professionals) are being fooled by “smart working” – or around the importance of the amygdala)

Leggi tutto “Perché gli sviluppatori (e molti altri professionisti IT) si stanno facendo fregare dallo “smart working” – Ovvero dell’importanza dell’amigdala”

Ricostruire la Customer Experience in sanità: il modo più efficace per gestire le fasi 2, 3, 4… del COVID-19 (e superare l’empasse dell’app Immuni)

Solo una customer experience di valore e significato per l’utente potrà guidare la governance sanitaria nella fase “post acuta” dell’emergenza. Ancora più di terapie intensive e telemedicina. Perché passa da qui non solo la gestione degli asintomatici, ma anche la creazione di un modello patient-centered.

Leggi l’articolo su Agenda Digitale!

 

 

Value-Based Customer Experience: l’innovazione che non c’è in sanità (sia prima che dopo il coronavirus)

Riporto la sintesi del mio contributo al libro edito da ASSD (Associazione Scientifica per la Sanità Digitale).

Il libro in versione digitale completa è scaricabile dal sito dell’associazione.

Perché Amazon e Netflix stanno ridefinendo la customer experience in sanità

Già il titolo, lo so, farà storcere in naso a molte persone. Perché parlare di customer experience e di “cliente” in sanità non è cosa gradita a tutti. Molti avrebbero preferito un patient al posto di customer. Invece ho deciso di lasciare la parola customer perché credo sia importante anche in sanità restare agganciati a quello che avviene negli altri settori, dove chi acquista un bene o fruisce di un servizio è indubitabilmente un cliente. Un C.I.O. americano, Jonathan Manis della Christus Health, disse durante il Digital Health Summit di AISIS[1] del 2019[2] che l’innovazione della customer experience, anche in sanità, la fanno Amazon e Netflix. Perché sì, chi entra in una struttura sanitaria assume volente o nolente i panni del paziente[3], ossia di colui che soffre e tollera tutto, ma nel resto della sua vita è un cliente di servizi di eccellenza come quelli citati. E così le aspettative si alzano: se Amazon mi abitua ad avere un’efficienza operativa estrema, diventa sempre meno accettabile fare delle code interminabili agli sportelli per l’accettazione di una visita o attendere per minuti o a volte ore al telefono prima che un operatore ci dia retta per prenotare un esame.  Se Netflix mi fornisce un’esperienza fortemente personalizzata, è difficile poi accettare di essere parcheggiati in corridoi angusti e anonimi in attesa che il medico chiami il tuo codice identificativo (per rispetto della privacy), oppure digerire il fatto che per un intervento magari alle 4 di pomeriggio si venga convocati insieme ad altre decine di pazienti alle 7 di mattina.

In questo breve approfondimento parleremo quindi di customer experience vista nell’ottica di chi usufruisce dei servizi (i pazienti, ma anche i loro famigliari e caregiver) e del modo di misurarla, proporremo un modello di maturità per gli strumenti per la customer experience in sanità e infine affronteremo uno dei grandi paradossi della sanità. Infatti nel nostro paese (e negli altri con sistemi simili), viviamo la grande ricchezza di un sistema sanitario universalistico, la qual cosa credo possa essere considerata uno dei traguardi di civiltà più importanti della storia dell’umanità, ma che strutturalmente favorisce una customer experience spesso frammentata e a volte onestamente problematica. Questa situazione è comprensibilmente peggiorata nella gestione dell’emergenza del COVID-19, dove gli obiettivi erano altri, ma ora è ancora più urgente intervenire per invertire la tendenza.

Dal CRM alla Value-Based Customer Experience

La customer experience (da ora in poi la abbrevieremo in CX) sembra essere ormai il Sacro Graal del nuovo mondo digitale. Si dice sempre più spesso che il cliente non compra un prodotto o un servizio ma un’esperienza. Innanzitutto va chiarito in cosa si differenzia la gestione della CX (Customer Experience Management o CEM) dalla gestione della CR (Customer Relationship o CRM). In questo ci aiuta un articolo della HBR: Understanding Customer Experience di C. Meyer e A. Schwager[4]. La sintesi è rappresentata nella figura seguente:

Altri hanno parlato di Connected CX[5] e di Intelligent CX[6]. Ognuna di queste definizioni sottolinea un aspetto particolare, ossia l’integrazione di esperienza, la multicanalità o l’utilizzo di strumenti di Intelligenza artificiale. Tutti temi interessanti a mio parere, ma ancora parziali. L’aggettivo che io trovo più appropriato, soprattutto in sanità, è quello di Value-Based CX[7].

Il concetto di valore in sanità è definito dal framework sulla Value Based Healthcare introdotto da M. Porter nel suo famoso articolo sulla HBR del 2005[8]. La formula base è:

 

Patient Value = Health Outcomes / Cost

 

Alcune osservazioni sono importanti. Innanzitutto il valore è sempre definito da parte di chi fruisce dei servizi (paziente e caregivers, il cliente appunto). Inoltre il valore è misurato come un rapporto tra risultati in termini di salute (health outcomes) e costi. Qualcuno ha provato a generalizzare la formula interpretando in modo esteso il numeratore e introducendo tra gli outcomes anche l’esperienza del paziente/cliente[9]:

Qualche esempio può servire a capire perché questa formulazione sia più adatta rispetto ad altri aggettivi come Connected o Intelligent. L’esperienza insegna che spingere in modo acritico sulla connessione e la multicanalità può portare a risultati disastrosi. Se è vero che il cliente gradisce poter interagire con diversi canali, è anche vero che questo può confondere l’esperienza del paziente/cliente e creare un customer journey frammentario e frustrante, soprattutto se i diversi canali non sono gestiti in modo coerente e integrato. Lo stesso esito si ottiene talvolta utilizzando le pur promettenti tecnologie di Artificial Intelligence: i famosi chatbot, tecnologie tra le più citate e abusate, se non integrati correttamente in un contesto organizzativo che preveda l’intervento umano quando necessario, possono generare un’esperienza cliente frustrante e in ultima analisi distruggere e non creare valore. In generale, ogni volta che vi sono due soluzioni con costi simili e noi scegliamo quella che genera un incremento minore degli outcome e della patient/customer experience (magari perché attratti dalla moda dell’intelligenza artificiale o della multi-canalità acritica), stiamo distruggendo valore.

Misurare la Customer Experience

Anche la CX può essere misurata. Un indicatore applicabile a qualunque contesto e molto diffuso, pur con i suoi limiti intrinseci, è il Net Promoter Score[10] o NPS. In sintesi si chiede ad un cliente di valutare in una scala da 1 a 10 la probabilità che hanno di consigliare ad amici e parenti un dato prodotto. La caratteristica del NPS è che i voti 9 e 10 sono considerati “promoter”, quelli sotto il 6 incluso “detrattori” e gli altri neutri. Per calcolare il NPS finale si sottrae la percentuale dei detrattori a quella dei promoter. Quindi avere un NPS elevato è molto difficile. I brand top nella CX sono anche quelli con il NPS più elevato.

Alcuni esempi di NPS di aziende leader: Starbucks 77%, Amazon 62%, Airbnb 74%, Netflix 68%, Tesla ha uno stellare 97%. In sanità il NPS è uno strumento poco utilizzato, con qualche eccezione negli Stati Uniti[11].

La critica principale al NPS è che sia un indicatore troppo “povero” (si basa su una sola domanda) e che andrebbe abbinato ad altre misure. Ad esempio la Value Based Healthcare pone un’enfasi importante, oltre che sulle misure degli outcome clinici, anche sulle misure di esperienza e di outcome percepiti dai pazienti. Queste vengono definite come PREMS (Patient Reported Experience Measures)  e PROMS (Patient Reported Outcome Measures)[12]. Si potrebbe addirituttura pensare di complementare il modello introducendo delle misure di outcome relative all’ esperienza del paziente.

Senza addentrarci ulteriormente nell’ambito specifico delle misure di CX in sanità, ritengo tuttavia che abbinare indicatori specifici di contesto (come i PREMS e i PROMS della Value Based Healthcare) a indicatori più generali come l’NPS possa aiutare a oggettivare un concetto di per sé molto soggettivo, come l’esperienza dei fruitori dei servizi. Gestire bene l’esperienza dei pazienti/clienti ha impatti positivi anche dal punto di vista economico. Infatti, come dimostra uno studio di Deloitte Consulting, le strutture sanitarie con migliori risultati nei PREMS hanno anche migliori performance finanziarie[13].

Il fatto che in sanità in Italia (e non solo) si usino poco questi strumenti è indice di un problema di sistema più vasto, come vedremo nell’ultimo paragrafo.

 

Il paradosso della customer experience in un sistema universalistico

Come anticipavo nella parte iniziale, in Italia e in molti paesi europei viviamo in un sistema che contiene un paradosso importante. Da un lato la sanità per tutti e il welfare universalistico sono a mio parere una delle conquiste di civiltà più importanti della storia dell’umanità: ricordate che i primi due principi della CX in sanità sono quello di poter essere curati (accesso alle cure) e di poterlo fare in strutture adeguate (qualità della cura). Dall’altro, per mantenere questo approccio universalistico, abbiamo rinunciato ad un aspetto di competizione che è il modo migliore per stimolare il sistema verso un miglioramento continuo della CX. Infatti, in sanità abbiamo tradizionalmente concentrato gli investimenti per migliorare la compliance o l’efficienza operativa perché il sistema finanziato distribuisce risorse pubbliche in molti casi attraverso un meccanismo di tetti di budget assegnati alle strutture. Questo, unito ad una domanda non controllata che eccede sistematicamente l’offerta, non crea alcuna competizione per attrarre e ritenere i clienti del Sistema Sanitario Nazionale. Detto altrimenti: qualunque ospedale ha in quasi tutti gli ambiti più domanda di quella che riesce a soddisfare e i tetti di budget assegnati non permettono facilmente di competere per soddisfare nuove aree di bisogno. In molte strutture in cui ho lavorato i tetti di budget si esaurivano sistematicamente a fine novembre. Fanno eccezione a questa regola i pazienti solventi, ma almeno in Italia questi sono una componente molto limitata del fatturato. Se l’80 o 90% del fatturato di una struttura è garantito dal SSN ed ho più clienti di quelli che i miei tetti di budget mi permettono di gestire, non c’è un grande stimolo a investire sulla CX. A dimostrazione di ciò si può verificare che le strutture che possono vantare una CX di eccellenza sono spesso quelle a vocazione totalmente rivolta a pazienti solventi.

Non è semplice qui dire quale sia la strada per uscire da questo paradosso. Non credo che un sistema di competizione pura, sul modello americano, sia la risposta. Quello americano è un sistema che ha dimostrato sul campo di essere largamente inefficiente ed iniquo. Ma non possiamo nemmeno rimanere ciecamente abbarbicati sul sistema attuale per una serie di ragioni:

  1. Anche il sistema universalistico di molti paesi europei presenta delle forti diseguaglianze. In Italia è enorme il divario tra le regioni. E non voglio banalizzare parlando genericamente di nord e sud, perché ci sono alcune regioni del sud che hanno una buona sanità e qualcuna del nord che ha una sanità in grande difficoltà. In questo caso se si vive nella regione sbagliata vengono violati anche i primi due principi fondamentali della CX in sanità (accesso alle cure e cure di qualità).
  2. Il sistema di regole attuale, per i motivi visti sopra, non stimola la competizione positiva tra gli erogatori di servizi sanitari per il SSN e quindi l’innovazione e il miglioramento dei servizi. Questo porta ad un progressivo abbassamento della CX abbinata spesso ad un aumento dei costi non sostenibile nel medio periodo.
  3. Un CX problematica in senso lato rende difficoltose e quindi meno frequenti (o ridotte ai casi di acuzie) le interazioni tra i cittadini e le strutture sanitarie. Questo ha enormi ripercussioni: sappiamo bene che la prevenzione, le diagnosi precoci e la gestione della cronicità sono il modo più efficiente ed efficace di curare o contenere le malattie. L’esperienza del COVID-19 insegna.

L’esperienza di questi mesi di pandemia ha mostrato che cambiare è sempre una sofferenza e nessuna organizzazione umana, che sia un’azienda, un ospedale o una scuola, lo fa se non vi è costretta. Quando però ci sono le condizioni possono avvenire in poche settimane o mesi cambiamenti che normalmente avrebbero richiesto anni. Come ha dimostrato Kotter, se non capisci che il tuo iceberg si sta sciogliendo, non lo abbandoni[14]. Analogamente un sistema che non è costretto ad orientarsi al cliente non lo farà spontaneamente. È fondamentale quindi introdurre dei correttivi a livello di sistema per stimolare una competizione regolamentata e che favorisca una CX di valore. Che sia una riforma inspirata alla Value Based Healthcare e agli outcome[15], al Triple Aim[16] o ad un altro modello, l’importante è compiere il salto culturale dall’ottica a volume (“ti pago per volumi di prestazioni e attività anche prive di valore”) a quella bastata sul valore (“ti pago se fornisci degli outcome clinici e una CX di valore”). Altrimenti l’iceberg si scioglierà, che noi ne siamo coscienti o no, e potrebbe essere troppo tardi per trovarne un altro. E che gli iceberg si stiano sciogliendo, sia in senso figurato che letterale, è una delle poche certezze che questo periodo di pandemie e di sconvolgimenti climatici ci ha lasciato.

 

[1] www.aisis.it

[2] http://digitalhealthsummit.it/component/speventum/speaker/74-jonathan-manis

[3] Da patior=soffro, ossia colui che soffre, che tollera, che attende e perservera con tranquillità: https://www.etimo.it/?term=paziente

[4]  https://hbr.org/2007/02/understanding-customer-experience

[5] https://www.ttec.com/sites/default/files/eb-inside-the-connected-customer-experience.pdf

[6] https://www.contentintelligence.net/it/ci/intelligent-experience-il-futuro-della-customer-experience

[7] https://www.mckinsey.com/business-functions/marketing-and-sales/our-insights/linking-the-customer-experience-to-value#

[8] https://www.hbs.edu/faculty/Publication%20Files/20050627%20IHI%20Impact%20Meeting%2006272005%20Final-NV_c5acc589-9f69-48db-9c64-75df74dc30a5.pdf

[9] https://www.raslss.com/healthcare-shift-volume-value/#gsc.tab=0

[10] https://www.netpromoter.com/know/

[11] Si possono vedere alcuni dati di realtà statunitensi, previa registrazione gratuita, su Customer Guru (https://customer.guru/net-promoter-score/industry/healthcare-hospitals-and-care-institutions)

[12] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4089835/

[13] https://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/us/Documents/life-sciences-health-care/us-dchs-the-value-of-patient-experience.pdf

[14] https://www.kotterinc.com/book/our-iceberg-is-melting/

[15] https://www.ichom.org/

[16] http://www.ihi.org/Engage/Initiatives/TripleAim/Pages/default.aspx

Panopticon, ovvero come stiamo realizzando il sogno di ogni regime totalitario

Vi invito a leggere questo articolo sulla sorveglianza digitale e sul nuovo Panopticon che ho scritto insieme a Natan/Martino:

Tecnologie per la sorveglianza di massa crescono. Che possiamo fare?

Pensando a quello che stiamo vivendo, un leader (di un regime totalitario ma anche pseudo-democratico) potrebbe scrivere:

“Viviamo in un momento particolarmente felice. Un momento di grandi opportunità. Nei prossimi mesi e anni la maggior parte dei nostri sogni diverranno realtà e questo grazie alla tecnologia e alla collaborazione di tutti gli uomini e le donne del pianeta!”

“Mai come in questo periodo è diventato facile acquisire informazioni sulle persone, su quello che fanno, quello che pensano. Siamo in grado di capire prima che sia troppo tardi anche quello che vorrebbero fare e vorrebbero pensare. Questo ci permette di guidarle verso il bene loro e dello stato, evitando i rischi insiti nella troppa libertà. E questo le persone lo hanno capito benissimo: prova ne sia il fatto che non sono più necessari i metodi antiquati e purtroppo brutali a cui dovevamo ricorrere in passato. Sono loro stesse a fornirci tutte le informazioni che ci servono!”

Siamo in un periodo storico in cui un numero sempre crescente di persone nel globo è sotto l’influenza di regimi di tipo non democratico. Il Democracy Index dell’Economist si apre con questa frase: “Nell’Indice di Democrazia del 2019 il punteggio medio rispetto alla democrazia è caduto da 5.48 nel 2018 a 5.44 (su scala da 1 a 10). Questo è il peggior punteggio medio globale da quando l’Indice è stato introdotto per la prima volta nel 2006”. Guardando i numeri, solo il 5,7% della popolazione mondiale vive nei 22 stati definiti come “democrazie complete”.

Per saperne di più sugli impatti e le prospettive… leggete l’articolo su Agenda Digitale:

 

Digital evolution, la lezione delle cattedrali romaniche

“Soprattutto in questo momento storico in cui i cambiamenti sono stati e saranno violenti per tutte le aziende e le organizzazioni, la flessibilità e l’agilità sono virtù fondamentali. Fino a prima della crisi innescata dal coronavirus, alcune aziende erano “costrette” a cambiare continuamente, altre navigavano placide come se il mondo fosse un mare tranquillo e sempre uguale. Ora quel tempo è finito. Nel mio ambito ad esempio (l’università), è cambiato completamente sia il modello operativo che il modello di business in due settimane!”

Leggi l’articolo “Digital evolution, la lezione delle cattedrali romaniche”su Agenda Digitale!

 

Coronavirus: il grande confronto tra diritto alla salute, sorveglianza, e privacy (un video dibattito e un po’ di link per approfondire…)

Interessante live streaming a cui ho partecipato ieri con Giorgia Zunino e Giuseppe Vaciago: “Coronavirus: il grande confronto tra diritto alla salute, sorveglianza e privacy”

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Big data e small data contro il coronavirus: una proposta per l’Italia

Sul tema dei dati (big o small) si è parlato tanto come strumento di controllo del coronavirus. A volte correndo il rischio di idolatrare in modo fuorviante la tecnologia. Però se usata bene la tecnologia, nel rispetto dei diritti e delle libertà personali, può essere uno strumento estremamente potente ed efficace, come alcune esperienze nel mondo dimostrano…

Leggi l’articolo su Agenda Digitale.

 

 

 

 

Trasformazione digitale, quei due killer del valore

Una riflessione sulla trasformazione digitale e sui “debiti” che questa implica.

Non c’è solo il debito tecnico in senso stretto, ma anche il “debito di customer experience”. Anche nella violenta trasformazione digitale in corso. Perché “violent delights have violent ends”…

Se volete leggere altri articoli sul digitale e quanto sta avvenendo in questi giorni:

https://www.yottabronto.net/ai-maligna-coronavirus/

https://www.yottabronto.net/coronavirus-deep-impact-10-tips-the-future/

https://www.yottabronto.net/informatico-ignoto/

https://www.yottabronto.net/oggi-ho-chiuso-bottega/

https://www.yottabronto.net/il-bello-del-digitale-ai-tempi-del-coronavirus/

https://www.yottabronto.net/ai-novissima/

L’AI maligna che ci salverà dal Coronavirus – Opportunità e dilemmi etici

Una riflessione su quello che l’intelligenza artificiale (AI) può fare per aiutarci.

La buona notizia è che ci sono ottime prospettive.

La cattiva è che ci sono implicazioni etiche importanti e da non sottovalutare…

Altre riflessioni in forma di raccolto sul tema dell’AI le potete trovare sulla pagina di NOVissima – quattro racconti sull’intelligenza artificiale.

 

PS:  al di là del titolo volutamente provocatorio, non credo che l’AI (artificial intelligence o intelligenza artificiale, sempre scritto in minuscolo però) di per sé possa essere “maligna”. Sono della scuola che pensa che l’AI sia uno strumento, anche se più sofisticato e potente di altri, e che la mente umana sia qualcosa di completamente diverso da un computer[1]. Potrei citare Searle e l’esperimento della stanza cinese[2], così come Luciano Floridi[3] e tanti altri filosofi e studiosi. Nessuno di noi direbbe mai: “Una bomba atomica maligna ha distrutto Hiroshima e Nagasaki”. Al di là di quello che il genere cinematografico/letterario della distopia ci ha mostrato, da HAL9000 di 2001 Odissea nello spazio a Terminator, da Matrix a Ex Machina, da I Robot a Westworld.

[1] In altre parole non credo al “computazionalismo”: https://en.wikipedia.org/wiki/Computational_theory_of_mind

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Chinese_room

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Floridi

 

Novissima: quattro racconti sull’Intelligenza Artificiale

NOVissima, ovvero quattro storie sull’Intelligenza Artificiale e le cose ultime: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso

Con il commento finale di Cosimo Accoto, filosofo, saggista e ricercatore affiliato al MIT.

ECCO TUTTI E QUATTRO I RACCONTI della serie riuniti in un’unica raccolta.

I racconti sono stati pubblicati in anteprima su AI4Business:

Se vuoi scoprire altri temi su tecnologia e dintorni che mi appassionano, puoi navigare il sito oppure leggere gli articoli sul Blog

G.and.A.L.F.: intervista a Radio Next – Radio 24 sul governo della trasformazione (evoluzione) digitale

Condivido il podcast dell’intervista andata in onda ieri a Radio Next (Radio 24) sul metodo G.and.A.L.F.:

Per approfondire l’approccio proposto, rimando al mio articolo “Governance della trasformazione digitale, cambiare approccio col metodo Gandalf: ecco come” su Agenda Digitale.

Nulla di particolarmente nuovo: nell’articolo non faccio altro che ripercorrere e narrare, con un filo conduttore un po’ particolare, le buone pratiche Lean e Agile applicate però al tema della governance. Ne abbiamo parlato anche all’ultimo congresso di AISIS.

Grazie a Pepe Moder per l’opportunità e ai tanti che mi hanno contattato su Linked-in condividendo impressioni e spunti!

 

 

La lezione di Israele sulla business agility Parte 2: Gerusalemme (la diversità) e il kibbutz (l’umiltà)

Seconda parte della riflessione sulla business agility (organizational agility) a partire da quattro immagini di un paese in bilico tra eccellenza e caos, Israele. L’articolo che segue è la continuazione di: “La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1

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La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1: Hebron (la necessità) e Tel Aviv (l’innovazione come ecosistema)

Una riflessione sulla business agility (o organizational agility) a partire da quattro immagini di un paese in bilico tra eccellenza e caos, Israele:

  • Hebron, ovvero della necessità
  • Tel Aviv, ovvero dell’innovazione come ecosistema
  • Il Kibbutz, ovvero dell’umiltà
  • Gerusalemme, ovvero della diversità

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Governance della trasformazione digitale: il metodo G.and.A.L.F.

Tutti parlano di digital transformation, ma purtroppo un numero inaccettabilmente elevato di programmi di trasformazione digitale fallisce o non da i risultati sperati. Ci deve essere un modo diverso di governare il cambiamento… in questo articolo provo a ragionare su un’alternativa, il metodo G.and.A.L.F.:

Governance della trasformazione digitale: il metodo G.and.A.L.F.

Se vuoi approfondire altri temi digitali, visita il blog di yottabronto.net

 

Stella che sogna… HolyLaLaLand!

“Ho fatto un sogno”, diceva un famoso segugio mio amico.

Anche io ho fatto un sogno: ho sognato che tutta la famiglia andava in un paese lontano, pieno di gatti e senza cani! Quasi un incubo!

Poi, quando mi sono svegliata, ho trovato questo video di 10 minuti fatto da Joy su un viaggio in Israele e Giordania:

Incredibile quante cose hanno fatto mentre io mi schiacciavo un pisolino! Allora è proprio vero che il tempo scorre in modo diverso per i cani e per gli umani!

Stella

PS: mi dicono che se volete leggere il resoconto del viaggio, dovete andare invece su questo post del blog. Un po’ lungo, ma si sa: Giulio quando comincia a scrivere non si ferma più! Ora me ne torno a dormire.

Lettera ai miei figli sul futuro dell’Intelligenza Umana ai tempi dell’intelligenza artificiale: il modello Start Trek (serie classica e TNG)

Intelligenza umana e intelligenza artificiale: competizione o collaborazione? L’intelligenza artificiale soppianterà le competenze umane o le complementerà?  In questa lettera ai miei figli propongo un modello, non nuovo: quello di Star Trek (serie Classica e TNG).

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Alice nella classe capovolta: la digital trasformation dove non te la aspetteresti (grazie all’Intelligenza Collettiva)!

Ricomincia l’anno scolastico. Tante speranze, tanti mal di pancia: il rapporto tra genitori e insegnanti è sempre più difficile, i ragazzi vivono ormai con la testa ovunque tranne che in classe, scuola e tecnologie sembrano essere due concetti antitetici. Eppure, come scoprirete leggendo questo brano dei protagonisti di Yottabyte e Brontobyte, anche in (alcune) scuole sta avvenendo una vera e propria rivoluzione digitale. Basta guardare le cose capovolte.

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Innovazione (in sanità e non solo): e se dovessimo imparare dalle mamme e da Melinda?

L’innovazione ha molte facce, ma più ne leggo e ne parlo e più penso che stiamo vivendo il paradosso di un’innovazione fossilizzata, vittima di una visione monoculare. “Ma non esiste prospettiva senza due punti di vista”, come canta anche Fedez. Un esperimento sociale sui protagonisti di Yottabyte e Brontobyte mi ha dato alcuni spunti di riflessione per le vacanze, che condivido…

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