Intelligenza artificiale: ma di cosa stiamo parlando?

(Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu)

Intelligenza Artificiale (IA o AI all’inglese): uno degli ultimi “hype” del mondo digitale. Dopo i primi grandi computer, il personal computer, il mobile computing, i sistemi esperti (prima “stagione” dell’AI), internet, i social media, l’IoT, il cloud computing, blockchain, il metaverso… ora è il momento del ritorno dell’Intelligenza Artificiale. Che non è un attore nuovo, perché i già citati “Sistemi Esperti” sono stati i primi casi di successo dell’AI, anche se erano sistemi a regole e non sistemi probabilistici come l’AI generativa. Dagli anni 70, dopo i successi dei Sistemi Esperti, venne il grande inverno dell’AI… ed ora eccoci qui tutti impazziti per i vari Claude, ChatGPT, Copilot, Gemini.

Ormai non c’è convegno in cui non si parli di AI, non c’è articolo (incluso questo) che non abbia “Intelligenza Artificiale” nel titolo, non c’è rivista di settore (e non) che possa fare a meno di spendere pagine e pagine sul tema. Per non parlare dei libri che proliferano: libri di tecnici e di esperti di AI, libri di filosofi, libri di psicologi, persino libri di teologi, tutti accumunati dal fatto di parlare di AI. Non sarà un po’ troppo?

Ci sono segnali che mostrano che forse siamo già nella curva discendente dell’Hype-cycle: Gartner, ad esempio, ormai mette l’AI generativa al confine tra il “Peak of inflated expectations” e il “Trough of Disillusionment”[1], mentre Luciano Floridi ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo eloquente: “Why the AI Hype is another Tech Bubble”[2].

Anche se, da un altro punto di vista, questo parlare di AI per sottolineare che si tratta di un hype, di una “tech bubble”, è ancora un modo per alimentare il fiume di parole sull’AI. Un fiume di parole a volte interessante, raramente illuminante, spesso vacuo e sconcertante. Ad un recente congresso a cui ho partecipato un relatore ha sostenuto che con i LLM[3] (AI generativa), possiamo fare a meno dei CRM[4] (sistemi di gestione della relazione con i clienti). Ora, a parte il fatto che si tratta in entrambi i casi di acronimi di tre lettere, credo che l’affermazione sia per lo meno azzardata. È come dire che se mi compro una Tesla posso fare a meno della casa. Che l’AI generativa possa dare un contributo alla gestione della relazione con i clienti sotto forma di assistant, copilot, bot è indubbio, che il CRM sia riducibile a questi temi, denota una carenza totale di comprensione di ciò di cui si sta parlando, sia lato AI che CRM. Ma nella follia isterica in cui siamo e in cui tutti parlano di tutto, ci sta che i Large Language Model o LLM (base dell’AI generativa) possano sostituire tanti altri acronimi di tre lettere: gli LMS[5], le API e gli SDK[6], ma anche i CIO[7] e forse i CEO[8]. Del resto, qualche tempo fa qualcuno non teorizzava che con gli Smart Contracts e le DAO (altro acronimo di tre lettere), ossia le Decentralized Autonomous Organizations[9], avremmo potuto fare a meno di tutta la gerarchia aziendale? Scusate l’abbuffata di acronimi, ma credo renda l’idea della confusione in cui ci troviamo. Ma quindi, di cosa stiamo parlando?

Di cosa stiamo parlando?

Condivido con voi un esperimento che faccio quando mi capita di tenere una lezione a qualche master. Ovviamente il mio intervento, nel titolo o nell’agenda, include le paroline magiche: “Intelligenza artificiale per…”, “Come applicare l’Intelligenza Artificiale a…”. Quindi sì, faccio outing, anche io sono colpevole di alimentare il chiacchiericcio sull’AI. Per ragionare sul “di cosa stiamo parlando” prendo un brano che parla di AI (Artificial Intelligence) o di IA (Intelligenza Artificiale) e sostituisco il termine AI o IA con “servizi digitali”, “digitale”, “trasformazione digitale”… Ecco per esempio un brano preso dall’”AI Competence Framework for students” dell’UNESCO (a sinistra la versione originale, a destra quella alterata):

In questo caso, ma succede quasi sempre, non solo il brano è leggibile anche in questa seconda versione, ma ha forse ancora più senso che nella versione originale. Parlare di AI, se non lo facciamo in modo superficiale, è un’occasione per parlare degli impatti della tecnologia sulle organizzazioni, di change management, di come misurare il valore degli investimenti tecnologici, delle metodologie che vanno scelte caso per caso (lean, agile, PM tradizionale o ibrido, design thinking…), di sicurezza, di impatto sociale, di cultura digitale e di reskilling, di portfolio management, di governance e di tanti altri temi fondamentali. Ecco, se parliamo anche di questo, non è tempo sprecato parlare di AI.

Leggi e paradossi

L’AI è diventato ormai un catalizzatore di riflessioni sulla tecnologia e sull’evoluzione accelerata che stiamo vivendo. Per millenni l’evoluzione è stata molto lenta, ma negli ultimi decenni l’accelerazione è evidente.

R. Kurzweil, geniale e controverso futurista e inventore, ha coniato la “law of accelerating returns” per spiegare che l’evoluzione tecnologica segue una curva esponenziale che ci condurrà alla singolarità:

Non voglio fare considerazioni sulla singolarità, evento mitico o mitologico in cui le leggi dell’universo conosciuto non varranno più e la superintelligenza artificiale verrà creata. Non voglio nemmeno fare previsioni sulla tecnologia, perché in questo ambito più che in altri il numero di previsioni sbagliate è impressionante e divertente[10]. Personalmente non credo nella superintelligenza artificiale cosciente. Sono più vicino a Floridi che a Kurzweil e credo che, come sostiene Floridi in “Etica dell’Intelligenza Artificiale”[11], l’AI sia più una nuova modalità dell’agire che dell’intelligenza. Infatti, con i nuovi strumenti di AI, abbiamo trovato il modo di scindere l’intelligenza dalla capacità di agire in modo intelligente. Abbiamo costruito macchine che agiscono in modo intelligente (o che noi definiamo intelligente) senza avere la minima idea di quello che stanno facendo. È la vittoria della sintassi sulla semantica. Chiunque abbia “dialogato” con uno dei tanti tool di AI generativa sa bene di cosa sto parlando. La loro capacità di intrattenere una conversazione su qualsiasi argomento è impressionante, benché non abbiamo nessuna comprensione della semantica sottostante. Sono però bravissimi a gestire la sintassi e a concatenare, grazie a enormi quantità di dati e a interpolazioni statistiche, parole e concetti senza senso per l’AI ma assolutamente sensati per noi. Ecco, quando parliamo di AI a mio parere parliamo dell’evoluzione della specie umana, dove la tecnologia sta occupando un posto sempre più importante. Questo cammino ci porterà verso un nuovo modello di uomo e di società, magari vicino al concetto di “noosfera”[12] di T. De Chardin, oppure all’apocalisse? Lo scopriremo vivendo…

Non ho risposte, ma farei tre considerazioni.

  1. La prima è che le innovazioni tecnologiche, come insegna l’hype cycle di Gartner, di solito cominciano a produrre valore quando non se ne parla più molto e scendono dal “peak of inflated expectations”. Quindi, per vedere i primi frutti maturi delle applicazioni di AI, bisognerà probabilmente aspettare qualche anno. Chi avrà la costanza di investire sull’AI in modo metodico, prudente e strutturato coglierà dei frutti concreti. Gli altri butteranno via tanti soldi ed energie. Il “plateau of productivity” arriverà, ma non è ancora qui, nonostante i tanti proclami di mirabolanti risparmi in ore uomo o di licenziamenti dovuti all’AI.

 

  1. La seconda considerazione è che la nostra capacità di governance di questi fenomeni sarà la chiave del nostro futuro. Mi piace qui citare un autore che amo molto:

 

«Il mondo della tecnica e le sue forze scatenate non potranno essere dominati che da un nuovo atteggiamento che ad esse si adatti e sia loro proporzionato. L’uomo è chiamato a fornire una nuova base di intelligenza e di libertà che siano, però, affini al fatto nuovo, secondo il loro carattere, il loro stile e tutto il loro orientamento interiore. L’uomo dovrà porre il suo vivo punto di partenza, dovrà innestare la sua leva di comando là, dove nasce il nuovo evento.» (R. Guardini – Lettere dal lago di Como)

Poche parole sono più attuali di queste: per governare l’intelligenza artificiale (ossia, come abbiamo visto, l’evoluzione digitale) serve una “nuova base di intelligenza”. Qui nessuno ha la ricetta, molte organizzazioni internazionali si stanno muovendo (in primis l’Europa con il suo AI Act), ma l’impressione è che serva un accordo planetario che includa anche i due grandi produttori di tecnologie di oggi, ossia USA e Cina.

 

  1. La terza considerazione è che ora più che mai serve tornare ad una “fusione di saperi”, come succedeva ad esempio nel medioevo, quanto la distinzione tra i saperi e la loro specializzazione non era così netta. Non penso solo ai grandi intelletti del medioevo, così ben rappresentati dal personaggio fittizio di Guglielmo da Baskerville del Nome della Rosa. Gugliemo da Baskerville, teologo e filosofo ma anche un po’ scienziato, si ispirava a Guglielmo di Occam[13], che ci ha lasciato uno dei principi più importanti per guidare la ricerca scientifica, il famoso “rasoio di Occam”. Oppure Alberto Magno, Ruggero Bacone e tanti altri, che univano la cultura umanistica allo studio scientifico della natura. Ma anche, più umilmente, i notai bolognesi del XIII e XIV secolo[14]. Non tutti sanno che molte delle più importanti rime in volgare (ad esempio di Guinizzelli o di Dante) sono state ritrovate nei libri dei notai bolognesi. Infatti, quando avevano una pagina bianca da riempire, invece che tracciare una riga copiavano una poesia. Anche questo un bell’esempio di ibridazione di saperi.

 

Concludo con una grande domanda, la cui risposta (che non ho) è il predittore più importante di come si evolverà il nostro futuro: la velocità con cui noi come specie sapremo evolvere le nostre capacità di governo sarà adeguata alla velocità dell’evoluzione tecnologica? È il paradosso della Legge di Martec, che dice che “La tecnologia evolve ad una velocità esponenziale mentre le organizzazioni umane e sociali evolvono alla velocità logaritmica”.

La legge di Martec si basa su due fatti: l’evoluzione esponenziale della tecnologia (si veda la “law of accelerating returns”) e la lentezza con cui le organizzazioni umane cambiano. Sul primo punto non possiamo essere certi che continui all’infinito, potrebbe esserci uno stop o un rallentamento, però in assenza (speriamo) di catastrofi verosimilmente è un trend che continuerà. Mentre sulla capacità di evoluzione e di cambiamento delle organizzazioni, penso che chiunque abbia lavorato in un’organizzazione di medie grandi dimensioni sa di cosa sto parlando. Forse le nostre organizzazioni (in senso lato: aziende ma anche nazioni ed entità sovranazionali) non sono più adatte al compito di governare certi fenomeni? Dobbiamo ristrutturare tutto in modalità più “agile”?  Anche su questo, come ho scritto in altri articoli[15], potremmo paradossalmente prendere spunto dal medioevo e dal Signore degli Anelli

[1] https://www.gartner.com/en/newsroom/press-releases/2024-08-21-gartner-2024-hype-cycle-for-emerging-technologies-highlights-developer-productivity-total-experience-ai-and-security

[2] https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4960826

[3] Large Language Models, la base dell’AI generativa, anche se si dovrebbero ormai chiamare Foundation Models.

[4] Customer Relationship Management, ossia un Sistema di gestione delle relazioni con i clienti.

[5] Learning Management Systems: l’AI come sostituto delle piattaforme di eLearning

[6] Application Programming Interface e Software Development Kit, strumenti fondamentali nello sviluppo software

[7] Chief Information Officer: il Direttore dei Sistemi Informativi serve ancora con l’Intelligenza Artificiale?

[8] Chief Executive Officer, o amministratore delegato. Serve ancora in un mondo governato dall’AI?

[9] https://en.wikipedia.org/wiki/Decentralized_autonomous_organization

[10] https://www.forbes.com/sites/robertszczerba/2015/01/05/15-worst-tech-predictions-of-all-time/

[11] https://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/luciano-floridi/etica-dellintelligenza-artificiale-9788832854091-3667.html

[12][12] https://www.teilhard.it/noosfera

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_di_Occam

[14] https://www.treccani.it/enciclopedia/memoriali-bolognesi_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

[15] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lorganizzazione-agile-chiave-dellevoluzione-digitale-cosa-possiamo-imparare-dai-monasteri-benedettini/

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/digital-evolution-la-lezione-delle-cattedrali-romaniche/

https://www.agendadigitale.eu/sanita/governance-della-trasformazione-digitale-cambiare-approccio-col-metodo-gandalf-ecco-come/

Perché gli sviluppatori (e molti altri professionisti IT) si stanno facendo fregare dallo “smart working” – Ovvero dell’importanza dell’amigdala

Una riflessione su una trappola in cui molti professionisti IT stanno cadendo…

(Why developers (and so many IT professionals) are being fooled by “smart working” – or around the importance of the amygdala)

Leggi tutto “Perché gli sviluppatori (e molti altri professionisti IT) si stanno facendo fregare dallo “smart working” – Ovvero dell’importanza dell’amigdala”

Ricostruire la Customer Experience in sanità: il modo più efficace per gestire le fasi 2, 3, 4… del COVID-19 (e superare l’empasse dell’app Immuni)

Solo una customer experience di valore e significato per l’utente potrà guidare la governance sanitaria nella fase “post acuta” dell’emergenza. Ancora più di terapie intensive e telemedicina. Perché passa da qui non solo la gestione degli asintomatici, ma anche la creazione di un modello patient-centered.

Leggi l’articolo su Agenda Digitale!

 

 

Value-Based Customer Experience: l’innovazione che non c’è in sanità (sia prima che dopo il coronavirus)

Riporto la sintesi del mio contributo al libro edito da ASSD (Associazione Scientifica per la Sanità Digitale).

Il libro in versione digitale completa è scaricabile dal sito dell’associazione.

Perché Amazon e Netflix stanno ridefinendo la customer experience in sanità

Già il titolo, lo so, farà storcere in naso a molte persone. Perché parlare di customer experience e di “cliente” in sanità non è cosa gradita a tutti. Molti avrebbero preferito un patient al posto di customer. Invece ho deciso di lasciare la parola customer perché credo sia importante anche in sanità restare agganciati a quello che avviene negli altri settori, dove chi acquista un bene o fruisce di un servizio è indubitabilmente un cliente. Un C.I.O. americano, Jonathan Manis della Christus Health, disse durante il Digital Health Summit di AISIS[1] del 2019[2] che l’innovazione della customer experience, anche in sanità, la fanno Amazon e Netflix. Perché sì, chi entra in una struttura sanitaria assume volente o nolente i panni del paziente[3], ossia di colui che soffre e tollera tutto, ma nel resto della sua vita è un cliente di servizi di eccellenza come quelli citati. E così le aspettative si alzano: se Amazon mi abitua ad avere un’efficienza operativa estrema, diventa sempre meno accettabile fare delle code interminabili agli sportelli per l’accettazione di una visita o attendere per minuti o a volte ore al telefono prima che un operatore ci dia retta per prenotare un esame.  Se Netflix mi fornisce un’esperienza fortemente personalizzata, è difficile poi accettare di essere parcheggiati in corridoi angusti e anonimi in attesa che il medico chiami il tuo codice identificativo (per rispetto della privacy), oppure digerire il fatto che per un intervento magari alle 4 di pomeriggio si venga convocati insieme ad altre decine di pazienti alle 7 di mattina.

In questo breve approfondimento parleremo quindi di customer experience vista nell’ottica di chi usufruisce dei servizi (i pazienti, ma anche i loro famigliari e caregiver) e del modo di misurarla, proporremo un modello di maturità per gli strumenti per la customer experience in sanità e infine affronteremo uno dei grandi paradossi della sanità. Infatti nel nostro paese (e negli altri con sistemi simili), viviamo la grande ricchezza di un sistema sanitario universalistico, la qual cosa credo possa essere considerata uno dei traguardi di civiltà più importanti della storia dell’umanità, ma che strutturalmente favorisce una customer experience spesso frammentata e a volte onestamente problematica. Questa situazione è comprensibilmente peggiorata nella gestione dell’emergenza del COVID-19, dove gli obiettivi erano altri, ma ora è ancora più urgente intervenire per invertire la tendenza.

Dal CRM alla Value-Based Customer Experience

La customer experience (da ora in poi la abbrevieremo in CX) sembra essere ormai il Sacro Graal del nuovo mondo digitale. Si dice sempre più spesso che il cliente non compra un prodotto o un servizio ma un’esperienza. Innanzitutto va chiarito in cosa si differenzia la gestione della CX (Customer Experience Management o CEM) dalla gestione della CR (Customer Relationship o CRM). In questo ci aiuta un articolo della HBR: Understanding Customer Experience di C. Meyer e A. Schwager[4]. La sintesi è rappresentata nella figura seguente:

Altri hanno parlato di Connected CX[5] e di Intelligent CX[6]. Ognuna di queste definizioni sottolinea un aspetto particolare, ossia l’integrazione di esperienza, la multicanalità o l’utilizzo di strumenti di Intelligenza artificiale. Tutti temi interessanti a mio parere, ma ancora parziali. L’aggettivo che io trovo più appropriato, soprattutto in sanità, è quello di Value-Based CX[7].

Il concetto di valore in sanità è definito dal framework sulla Value Based Healthcare introdotto da M. Porter nel suo famoso articolo sulla HBR del 2005[8]. La formula base è:

 

Patient Value = Health Outcomes / Cost

 

Alcune osservazioni sono importanti. Innanzitutto il valore è sempre definito da parte di chi fruisce dei servizi (paziente e caregivers, il cliente appunto). Inoltre il valore è misurato come un rapporto tra risultati in termini di salute (health outcomes) e costi. Qualcuno ha provato a generalizzare la formula interpretando in modo esteso il numeratore e introducendo tra gli outcomes anche l’esperienza del paziente/cliente[9]:

Qualche esempio può servire a capire perché questa formulazione sia più adatta rispetto ad altri aggettivi come Connected o Intelligent. L’esperienza insegna che spingere in modo acritico sulla connessione e la multicanalità può portare a risultati disastrosi. Se è vero che il cliente gradisce poter interagire con diversi canali, è anche vero che questo può confondere l’esperienza del paziente/cliente e creare un customer journey frammentario e frustrante, soprattutto se i diversi canali non sono gestiti in modo coerente e integrato. Lo stesso esito si ottiene talvolta utilizzando le pur promettenti tecnologie di Artificial Intelligence: i famosi chatbot, tecnologie tra le più citate e abusate, se non integrati correttamente in un contesto organizzativo che preveda l’intervento umano quando necessario, possono generare un’esperienza cliente frustrante e in ultima analisi distruggere e non creare valore. In generale, ogni volta che vi sono due soluzioni con costi simili e noi scegliamo quella che genera un incremento minore degli outcome e della patient/customer experience (magari perché attratti dalla moda dell’intelligenza artificiale o della multi-canalità acritica), stiamo distruggendo valore.

Misurare la Customer Experience

Anche la CX può essere misurata. Un indicatore applicabile a qualunque contesto e molto diffuso, pur con i suoi limiti intrinseci, è il Net Promoter Score[10] o NPS. In sintesi si chiede ad un cliente di valutare in una scala da 1 a 10 la probabilità che hanno di consigliare ad amici e parenti un dato prodotto. La caratteristica del NPS è che i voti 9 e 10 sono considerati “promoter”, quelli sotto il 6 incluso “detrattori” e gli altri neutri. Per calcolare il NPS finale si sottrae la percentuale dei detrattori a quella dei promoter. Quindi avere un NPS elevato è molto difficile. I brand top nella CX sono anche quelli con il NPS più elevato.

Alcuni esempi di NPS di aziende leader: Starbucks 77%, Amazon 62%, Airbnb 74%, Netflix 68%, Tesla ha uno stellare 97%. In sanità il NPS è uno strumento poco utilizzato, con qualche eccezione negli Stati Uniti[11].

La critica principale al NPS è che sia un indicatore troppo “povero” (si basa su una sola domanda) e che andrebbe abbinato ad altre misure. Ad esempio la Value Based Healthcare pone un’enfasi importante, oltre che sulle misure degli outcome clinici, anche sulle misure di esperienza e di outcome percepiti dai pazienti. Queste vengono definite come PREMS (Patient Reported Experience Measures)  e PROMS (Patient Reported Outcome Measures)[12]. Si potrebbe addirituttura pensare di complementare il modello introducendo delle misure di outcome relative all’ esperienza del paziente.

Senza addentrarci ulteriormente nell’ambito specifico delle misure di CX in sanità, ritengo tuttavia che abbinare indicatori specifici di contesto (come i PREMS e i PROMS della Value Based Healthcare) a indicatori più generali come l’NPS possa aiutare a oggettivare un concetto di per sé molto soggettivo, come l’esperienza dei fruitori dei servizi. Gestire bene l’esperienza dei pazienti/clienti ha impatti positivi anche dal punto di vista economico. Infatti, come dimostra uno studio di Deloitte Consulting, le strutture sanitarie con migliori risultati nei PREMS hanno anche migliori performance finanziarie[13].

Il fatto che in sanità in Italia (e non solo) si usino poco questi strumenti è indice di un problema di sistema più vasto, come vedremo nell’ultimo paragrafo.

 

Il paradosso della customer experience in un sistema universalistico

Come anticipavo nella parte iniziale, in Italia e in molti paesi europei viviamo in un sistema che contiene un paradosso importante. Da un lato la sanità per tutti e il welfare universalistico sono a mio parere una delle conquiste di civiltà più importanti della storia dell’umanità: ricordate che i primi due principi della CX in sanità sono quello di poter essere curati (accesso alle cure) e di poterlo fare in strutture adeguate (qualità della cura). Dall’altro, per mantenere questo approccio universalistico, abbiamo rinunciato ad un aspetto di competizione che è il modo migliore per stimolare il sistema verso un miglioramento continuo della CX. Infatti, in sanità abbiamo tradizionalmente concentrato gli investimenti per migliorare la compliance o l’efficienza operativa perché il sistema finanziato distribuisce risorse pubbliche in molti casi attraverso un meccanismo di tetti di budget assegnati alle strutture. Questo, unito ad una domanda non controllata che eccede sistematicamente l’offerta, non crea alcuna competizione per attrarre e ritenere i clienti del Sistema Sanitario Nazionale. Detto altrimenti: qualunque ospedale ha in quasi tutti gli ambiti più domanda di quella che riesce a soddisfare e i tetti di budget assegnati non permettono facilmente di competere per soddisfare nuove aree di bisogno. In molte strutture in cui ho lavorato i tetti di budget si esaurivano sistematicamente a fine novembre. Fanno eccezione a questa regola i pazienti solventi, ma almeno in Italia questi sono una componente molto limitata del fatturato. Se l’80 o 90% del fatturato di una struttura è garantito dal SSN ed ho più clienti di quelli che i miei tetti di budget mi permettono di gestire, non c’è un grande stimolo a investire sulla CX. A dimostrazione di ciò si può verificare che le strutture che possono vantare una CX di eccellenza sono spesso quelle a vocazione totalmente rivolta a pazienti solventi.

Non è semplice qui dire quale sia la strada per uscire da questo paradosso. Non credo che un sistema di competizione pura, sul modello americano, sia la risposta. Quello americano è un sistema che ha dimostrato sul campo di essere largamente inefficiente ed iniquo. Ma non possiamo nemmeno rimanere ciecamente abbarbicati sul sistema attuale per una serie di ragioni:

  1. Anche il sistema universalistico di molti paesi europei presenta delle forti diseguaglianze. In Italia è enorme il divario tra le regioni. E non voglio banalizzare parlando genericamente di nord e sud, perché ci sono alcune regioni del sud che hanno una buona sanità e qualcuna del nord che ha una sanità in grande difficoltà. In questo caso se si vive nella regione sbagliata vengono violati anche i primi due principi fondamentali della CX in sanità (accesso alle cure e cure di qualità).
  2. Il sistema di regole attuale, per i motivi visti sopra, non stimola la competizione positiva tra gli erogatori di servizi sanitari per il SSN e quindi l’innovazione e il miglioramento dei servizi. Questo porta ad un progressivo abbassamento della CX abbinata spesso ad un aumento dei costi non sostenibile nel medio periodo.
  3. Un CX problematica in senso lato rende difficoltose e quindi meno frequenti (o ridotte ai casi di acuzie) le interazioni tra i cittadini e le strutture sanitarie. Questo ha enormi ripercussioni: sappiamo bene che la prevenzione, le diagnosi precoci e la gestione della cronicità sono il modo più efficiente ed efficace di curare o contenere le malattie. L’esperienza del COVID-19 insegna.

L’esperienza di questi mesi di pandemia ha mostrato che cambiare è sempre una sofferenza e nessuna organizzazione umana, che sia un’azienda, un ospedale o una scuola, lo fa se non vi è costretta. Quando però ci sono le condizioni possono avvenire in poche settimane o mesi cambiamenti che normalmente avrebbero richiesto anni. Come ha dimostrato Kotter, se non capisci che il tuo iceberg si sta sciogliendo, non lo abbandoni[14]. Analogamente un sistema che non è costretto ad orientarsi al cliente non lo farà spontaneamente. È fondamentale quindi introdurre dei correttivi a livello di sistema per stimolare una competizione regolamentata e che favorisca una CX di valore. Che sia una riforma inspirata alla Value Based Healthcare e agli outcome[15], al Triple Aim[16] o ad un altro modello, l’importante è compiere il salto culturale dall’ottica a volume (“ti pago per volumi di prestazioni e attività anche prive di valore”) a quella bastata sul valore (“ti pago se fornisci degli outcome clinici e una CX di valore”). Altrimenti l’iceberg si scioglierà, che noi ne siamo coscienti o no, e potrebbe essere troppo tardi per trovarne un altro. E che gli iceberg si stiano sciogliendo, sia in senso figurato che letterale, è una delle poche certezze che questo periodo di pandemie e di sconvolgimenti climatici ci ha lasciato.

 

[1] www.aisis.it

[2] http://digitalhealthsummit.it/component/speventum/speaker/74-jonathan-manis

[3] Da patior=soffro, ossia colui che soffre, che tollera, che attende e perservera con tranquillità: https://www.etimo.it/?term=paziente

[4]  https://hbr.org/2007/02/understanding-customer-experience

[5] https://www.ttec.com/sites/default/files/eb-inside-the-connected-customer-experience.pdf

[6] https://www.contentintelligence.net/it/ci/intelligent-experience-il-futuro-della-customer-experience

[7] https://www.mckinsey.com/business-functions/marketing-and-sales/our-insights/linking-the-customer-experience-to-value#

[8] https://www.hbs.edu/faculty/Publication%20Files/20050627%20IHI%20Impact%20Meeting%2006272005%20Final-NV_c5acc589-9f69-48db-9c64-75df74dc30a5.pdf

[9] https://www.raslss.com/healthcare-shift-volume-value/#gsc.tab=0

[10] https://www.netpromoter.com/know/

[11] Si possono vedere alcuni dati di realtà statunitensi, previa registrazione gratuita, su Customer Guru (https://customer.guru/net-promoter-score/industry/healthcare-hospitals-and-care-institutions)

[12] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4089835/

[13] https://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/us/Documents/life-sciences-health-care/us-dchs-the-value-of-patient-experience.pdf

[14] https://www.kotterinc.com/book/our-iceberg-is-melting/

[15] https://www.ichom.org/

[16] http://www.ihi.org/Engage/Initiatives/TripleAim/Pages/default.aspx

Panopticon, ovvero come stiamo realizzando il sogno di ogni regime totalitario

Vi invito a leggere questo articolo sulla sorveglianza digitale e sul nuovo Panopticon che ho scritto insieme a Natan/Martino:

Tecnologie per la sorveglianza di massa crescono. Che possiamo fare?

Pensando a quello che stiamo vivendo, un leader (di un regime totalitario ma anche pseudo-democratico) potrebbe scrivere:

“Viviamo in un momento particolarmente felice. Un momento di grandi opportunità. Nei prossimi mesi e anni la maggior parte dei nostri sogni diverranno realtà e questo grazie alla tecnologia e alla collaborazione di tutti gli uomini e le donne del pianeta!”

“Mai come in questo periodo è diventato facile acquisire informazioni sulle persone, su quello che fanno, quello che pensano. Siamo in grado di capire prima che sia troppo tardi anche quello che vorrebbero fare e vorrebbero pensare. Questo ci permette di guidarle verso il bene loro e dello stato, evitando i rischi insiti nella troppa libertà. E questo le persone lo hanno capito benissimo: prova ne sia il fatto che non sono più necessari i metodi antiquati e purtroppo brutali a cui dovevamo ricorrere in passato. Sono loro stesse a fornirci tutte le informazioni che ci servono!”

Siamo in un periodo storico in cui un numero sempre crescente di persone nel globo è sotto l’influenza di regimi di tipo non democratico. Il Democracy Index dell’Economist si apre con questa frase: “Nell’Indice di Democrazia del 2019 il punteggio medio rispetto alla democrazia è caduto da 5.48 nel 2018 a 5.44 (su scala da 1 a 10). Questo è il peggior punteggio medio globale da quando l’Indice è stato introdotto per la prima volta nel 2006”. Guardando i numeri, solo il 5,7% della popolazione mondiale vive nei 22 stati definiti come “democrazie complete”.

Per saperne di più sugli impatti e le prospettive… leggete l’articolo su Agenda Digitale:

 

Digital evolution, la lezione delle cattedrali romaniche

“Soprattutto in questo momento storico in cui i cambiamenti sono stati e saranno violenti per tutte le aziende e le organizzazioni, la flessibilità e l’agilità sono virtù fondamentali. Fino a prima della crisi innescata dal coronavirus, alcune aziende erano “costrette” a cambiare continuamente, altre navigavano placide come se il mondo fosse un mare tranquillo e sempre uguale. Ora quel tempo è finito. Nel mio ambito ad esempio (l’università), è cambiato completamente sia il modello operativo che il modello di business in due settimane!”

Leggi l’articolo “Digital evolution, la lezione delle cattedrali romaniche”su Agenda Digitale!

 

Coronavirus: il grande confronto tra diritto alla salute, sorveglianza, e privacy (un video dibattito e un po’ di link per approfondire…)

Interessante live streaming a cui ho partecipato ieri con Giorgia Zunino e Giuseppe Vaciago: “Coronavirus: il grande confronto tra diritto alla salute, sorveglianza e privacy”

Leggi tutto “Coronavirus: il grande confronto tra diritto alla salute, sorveglianza, e privacy (un video dibattito e un po’ di link per approfondire…)”

Big data e small data contro il coronavirus: una proposta per l’Italia

Sul tema dei dati (big o small) si è parlato tanto come strumento di controllo del coronavirus. A volte correndo il rischio di idolatrare in modo fuorviante la tecnologia. Però se usata bene la tecnologia, nel rispetto dei diritti e delle libertà personali, può essere uno strumento estremamente potente ed efficace, come alcune esperienze nel mondo dimostrano…

Leggi l’articolo su Agenda Digitale.

 

 

 

 

Trasformazione digitale, quei due killer del valore

Una riflessione sulla trasformazione digitale e sui “debiti” che questa implica.

Non c’è solo il debito tecnico in senso stretto, ma anche il “debito di customer experience”. Anche nella violenta trasformazione digitale in corso. Perché “violent delights have violent ends”…

Se volete leggere altri articoli sul digitale e quanto sta avvenendo in questi giorni:

https://www.yottabronto.net/ai-maligna-coronavirus/

https://www.yottabronto.net/coronavirus-deep-impact-10-tips-the-future/

https://www.yottabronto.net/informatico-ignoto/

https://www.yottabronto.net/oggi-ho-chiuso-bottega/

https://www.yottabronto.net/il-bello-del-digitale-ai-tempi-del-coronavirus/

https://www.yottabronto.net/ai-novissima/

L’AI maligna che ci salverà dal Coronavirus – Opportunità e dilemmi etici

Una riflessione su quello che l’intelligenza artificiale (AI) può fare per aiutarci.

La buona notizia è che ci sono ottime prospettive.

La cattiva è che ci sono implicazioni etiche importanti e da non sottovalutare…

Altre riflessioni in forma di raccolto sul tema dell’AI le potete trovare sulla pagina di NOVissima – quattro racconti sull’intelligenza artificiale.

 

PS:  al di là del titolo volutamente provocatorio, non credo che l’AI (artificial intelligence o intelligenza artificiale, sempre scritto in minuscolo però) di per sé possa essere “maligna”. Sono della scuola che pensa che l’AI sia uno strumento, anche se più sofisticato e potente di altri, e che la mente umana sia qualcosa di completamente diverso da un computer[1]. Potrei citare Searle e l’esperimento della stanza cinese[2], così come Luciano Floridi[3] e tanti altri filosofi e studiosi. Nessuno di noi direbbe mai: “Una bomba atomica maligna ha distrutto Hiroshima e Nagasaki”. Al di là di quello che il genere cinematografico/letterario della distopia ci ha mostrato, da HAL9000 di 2001 Odissea nello spazio a Terminator, da Matrix a Ex Machina, da I Robot a Westworld.

[1] In altre parole non credo al “computazionalismo”: https://en.wikipedia.org/wiki/Computational_theory_of_mind

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Chinese_room

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Floridi

 

Novissima: quattro racconti sull’Intelligenza Artificiale

NOVissima, ovvero quattro storie sull’Intelligenza Artificiale e le cose ultime: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso

Con il commento finale di Cosimo Accoto, filosofo, saggista e ricercatore affiliato al MIT.

ECCO TUTTI E QUATTRO I RACCONTI della serie riuniti in un’unica raccolta.

I racconti sono stati pubblicati in anteprima su AI4Business:

Se vuoi scoprire altri temi su tecnologia e dintorni che mi appassionano, puoi navigare il sito oppure leggere gli articoli sul Blog

G.and.A.L.F.: intervista a Radio Next – Radio 24 sul governo della trasformazione (evoluzione) digitale

Condivido il podcast dell’intervista andata in onda ieri a Radio Next (Radio 24) sul metodo G.and.A.L.F.:

Per approfondire l’approccio proposto, rimando al mio articolo “Governance della trasformazione digitale, cambiare approccio col metodo Gandalf: ecco come” su Agenda Digitale.

Nulla di particolarmente nuovo: nell’articolo non faccio altro che ripercorrere e narrare, con un filo conduttore un po’ particolare, le buone pratiche Lean e Agile applicate però al tema della governance. Ne abbiamo parlato anche all’ultimo congresso di AISIS.

Grazie a Pepe Moder per l’opportunità e ai tanti che mi hanno contattato su Linked-in condividendo impressioni e spunti!

 

 

La lezione di Israele sulla business agility Parte 2: Gerusalemme (la diversità) e il kibbutz (l’umiltà)

Seconda parte della riflessione sulla business agility (organizational agility) a partire da quattro immagini di un paese in bilico tra eccellenza e caos, Israele. L’articolo che segue è la continuazione di: “La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1

Leggi tutto “La lezione di Israele sulla business agility Parte 2: Gerusalemme (la diversità) e il kibbutz (l’umiltà)”

La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1: Hebron (la necessità) e Tel Aviv (l’innovazione come ecosistema)

Una riflessione sulla business agility (o organizational agility) a partire da quattro immagini di un paese in bilico tra eccellenza e caos, Israele:

  • Hebron, ovvero della necessità
  • Tel Aviv, ovvero dell’innovazione come ecosistema
  • Il Kibbutz, ovvero dell’umiltà
  • Gerusalemme, ovvero della diversità

Leggi tutto “La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1: Hebron (la necessità) e Tel Aviv (l’innovazione come ecosistema)”

Governance della trasformazione digitale: il metodo G.and.A.L.F.

Tutti parlano di digital transformation, ma purtroppo un numero inaccettabilmente elevato di programmi di trasformazione digitale fallisce o non da i risultati sperati. Ci deve essere un modo diverso di governare il cambiamento… in questo articolo provo a ragionare su un’alternativa, il metodo G.and.A.L.F.:

Governance della trasformazione digitale: il metodo G.and.A.L.F.

Se vuoi approfondire altri temi digitali, visita il blog di yottabronto.net

 

Stella che sogna… HolyLaLaLand!

“Ho fatto un sogno”, diceva un famoso segugio mio amico.

Anche io ho fatto un sogno: ho sognato che tutta la famiglia andava in un paese lontano, pieno di gatti e senza cani! Quasi un incubo!

Poi, quando mi sono svegliata, ho trovato questo video di 10 minuti fatto da Joy su un viaggio in Israele e Giordania:

Incredibile quante cose hanno fatto mentre io mi schiacciavo un pisolino! Allora è proprio vero che il tempo scorre in modo diverso per i cani e per gli umani!

Stella

PS: mi dicono che se volete leggere il resoconto del viaggio, dovete andare invece su questo post del blog. Un po’ lungo, ma si sa: Giulio quando comincia a scrivere non si ferma più! Ora me ne torno a dormire.

Lettera ai miei figli sul futuro dell’Intelligenza Umana ai tempi dell’intelligenza artificiale: il modello Start Trek (serie classica e TNG)

Intelligenza umana e intelligenza artificiale: competizione o collaborazione? L’intelligenza artificiale soppianterà le competenze umane o le complementerà?  In questa lettera ai miei figli propongo un modello, non nuovo: quello di Star Trek (serie Classica e TNG).

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Alice nella classe capovolta: la digital trasformation dove non te la aspetteresti (grazie all’Intelligenza Collettiva)!

Ricomincia l’anno scolastico. Tante speranze, tanti mal di pancia: il rapporto tra genitori e insegnanti è sempre più difficile, i ragazzi vivono ormai con la testa ovunque tranne che in classe, scuola e tecnologie sembrano essere due concetti antitetici. Eppure, come scoprirete leggendo questo brano dei protagonisti di Yottabyte e Brontobyte, anche in (alcune) scuole sta avvenendo una vera e propria rivoluzione digitale. Basta guardare le cose capovolte.

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Innovazione (in sanità e non solo): e se dovessimo imparare dalle mamme e da Melinda?

L’innovazione ha molte facce, ma più ne leggo e ne parlo e più penso che stiamo vivendo il paradosso di un’innovazione fossilizzata, vittima di una visione monoculare. “Ma non esiste prospettiva senza due punti di vista”, come canta anche Fedez. Un esperimento sociale sui protagonisti di Yottabyte e Brontobyte mi ha dato alcuni spunti di riflessione per le vacanze, che condivido…

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