Il bello del digitale ai tempi del coronavirus: la situazione è occasione (anche per il mondo dell’educazione)

Le opportunità del digitale nel mondo dell’educazione ai tempi del coronavirus: una riflessione.

Noi italiani, si sa, diamo il meglio di noi in condizioni di emergenza. Sarà vero? Lo scopriremo probabilmente nelle prossime settimane. Perché l’emergenza coronavirus sta passando da una fase in cui bastavano piccoli aggiustamenti, a un impatto strutturale. Una settimana di fermo di scuole, musei, esercizi pubblici la si riassorbe abbastanza agilmente, quando le settimane diventano 2, 3 o forse più la situazione è diversa. Dall’emergenza si deve passare ad una nuova organizzazione e ad una nuova modalità di utilizzo dei mezzi a disposizione, anche per quanto riguarda le tecnologie.

I due contesti in cui il digitale è più citato negli articoli sui social media sono lo smart working (anche se ognuno lo definisce in modo un po’ diverso) e l’educazione. Non parlerò qui dello smart working, perché i social sono pieni di articoli in merito. L’unica lezione che mi sento di trarre è che, in questa situazione di crisi, sta operando bene chi già prima aveva introdotto lo smart working in azienda. Gli altri improvvisano.

Ma ora mi vorrei focalizzare sull’educazione. Noi in Italia abbiamo sempre privilegiato, anche per le caratteristiche del nostro territorio oltre che per ragioni culturali, un’educazione piuttosto tradizionale e in presenza. Questo è sicuramente un valore, almeno fino a che è possibile. Ho avuto la fortuna di visitare recentemente altri paesi, come l’Australia, che da sempre hanno dovuto sperimentare modelli diversi. Le grandi distanze e la distribuzione di una popolazione esigua su un territorio sterminato hanno fatto nascere istituzioni la cui missione era proprio quella della formazione a distanza. La Deakin University, ad esempio, cominciò con la spedizione di libri nelle fattorie più remote. Poi passarono alle video cassette e ora sono leader nell’eLearning. Altre istituzioni, come la Western Sydney University, hanno interpretato il digitale in modo diverso. Non uno strumento per supplire ad una mancanza (la possibilità di incontrare fisicamente gli studenti), ma un abilitatore di nuove modalità di apprendimento, con l’applicazione estensiva della modalità di apprendimento chiamata flipped classroom. Qui la presenza degli studenti c’è, ma viene ribaltato il paradigma: invece di assistere a lezioni frontali in cui il docente parla e gli studenti ascoltano (comunicazione unidirezionale), gli studenti assimilano i contenuti a casa tramite video lezioni e materiale didattico. L’esperienza in classe può così diventare estremamente collaborativa: gruppi di lavoro, interazione con il docente, approfondimenti. L’aspetto interessante di questa iniziativa è che la didattica digitale non viene vista come sostitutiva di quella in presenza, ma come “aumentativa”: serve a potenziare l’interazione tra docenti e discenti. Le misure di outcome (performance degli studenti) sembrano dimostrare che funziona alla grande!  Questa è la vera evoluzione digitale nell’ambito educativo: non copiare nel mondo on-line paradigmi off-line, ma generare nuove possibilità di apprendimento. Alla Western Sydney hanno rivoluzionato in base a questo approccio l’organizzazione, la didattica, il layout delle classi. E gli strumenti digitali?

Ecco, questo è un punto importante. Non ho trovato, nella maggior parte delle università Australiane che ho visitato inclusa la Western Sydney, degli strumenti digitali così diversi da quelli utilizzati nel resto del mondo. Hanno ovviamente piattaforme di eLearning e di CRM di livello eccellente, ma sono di fatto le stesse in uso in molte università del mondo. Quello che hanno di singolare queste istituzioni è la cultura digitale. A discendere da qui hanno rivoluzionato organizzazione, metodologie didattiche e anche layout degli edifici. E sottolineo la distinzione tra cultura digitale e tecnologie digitali: queste sono un abilitatore fondamentale del viaggio, ma non sono il focus. La cultura genera la capacità di pensare e realizzare percorsi di evoluzione digitale con un approccio sistemico. Ovviamente questo richiede anche investimenti importanti. Un’università Australiana investe del digitale anche un ordine di grandezza di più di una italiana. È vero, i soldi non sono tutto, però…

E qui in Italia? Le istituzioni stanno ora emettendo comunicati in cui si riscopre il potenziale dell’eLearning e si spronano le scuole ad utilizzarlo. Si vedono in questi giorni sui media tantissimi articoli e servizi su maestre di scuola elementare che fanno videolezioni o utilizzano chat per dialogare con i propri studenti. Questa onestamente è una semplificazione del problema. La maggior parte delle università si sta attrezzando per potenziare la propria offerta di corsi on-line, ma non è semplice trasferire migliaia di ore di lezione in modalità on-line. Tutte iniziative lodevoli e necessarie, ma legate spesso ad atti di buona volontà o di eroismo personale. Ho visto in pochi casi un approccio sistemico

Anche qui vale la stessa lezione dello smart working: chi aveva già fatto dell’eLearning e delle tecnologie digitali uno dei pilastri della propria offerta formativa è enormemente avvantaggiato. Gli altri stanno cercando di recuperare il gap, ma non è mai facile introdurre nuovi strumenti in un momento di crisi.

Tuttavia credo che in questo ci sia una grande opportunità: anche chi era scettico di fronte all’utilizzo del digitale nella didattica sta rapidamente cogliendone il potenziale. Forse è vero: dai momenti di crisi noi italiani potremmo davvero dare il meglio, se faremo tesoro della necessità per comprendere che è necessario investire in modo coerente e costante in cultura digitale, processi, modelli didattici e (last but not least) tecnologie