There has never been a better (and more dangerous) time to be a technologist

Ovvero: “Da grandi poteri, grandi responsabilità” (Ben Parker)

(Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu)

In fondo siamo tutti cercatori. Cercatori di sicurezza economica e sociale, cercatori di una vita migliore per noi e per i nostri cari, cercatori di conoscenza e, scavando più in profondità, cercatori di senso.

Uno di questi cercatori[1] mi ha fatto conoscere il pensiero di Ian Bremmer, un politologo e scrittore americano in realtà piuttosto noto. Bremmer ha espresso in modo magistrale una “sensazione” che avevo da un po’ di tempo, ossia quella della centralità mondiale del digitale. Nel contempo, la visione di Brenner ha contribuito a risvegliare in me la consapevolezza del senso del lavoro e insieme della responsabilità di chi, come me, fa parte dell’esercito di specialisti dell’information technology.

Se avete 10 minuti di tempo vi consiglio di partire dal video di Bremmer “The Next Global Superpower Isn’t Who You Think” sul canale YouTube di TED[2].

 

Ecco alcuni punti salienti. Siamo passati un mondo bipolare (Stati Uniti – URSS), a un mondo unipolare (con gli Stati Uniti come unico leader globale), a un mondo “leaderless”, basato su tre tipi di ordini interlacciati:

  • Ordine militare, dove gli Stati Uniti e la Cina dominano;
  • Ordine economico, dove oltre a Stati Uniti e Cina ci sono altri paesi emergenti (India e diverse economie asiatiche) e storici (come l’Unione Europea);
  • Ordine tecnologico, dominato dai tecno-giganti.

Il terzo ordine sarà probabilmente quello prevalente, generando a seconda della combinazione con gli altri ordini una “technology cold war”, un “digital global order” o un “techno-polar order”. Si potrebbe aprire un mondo di opportunità illimitate o un mondo distopico, privato della libertà.

Purtroppo, secondo Bremmer, tutti gli scenari visti sono potenzialmente distopici. L’intelligenza artificiale senza vincoli etici, l’uso spregiudicato dei dati, la mercificazione dei consumatori, la manipolazione delle masse da parte dei social media[3] sono tutti passi verso la distruzione dei valori fondanti della nostra società.

Cosa possiamo fare di fronte agli scenari prospettati da Bremmer? A mio parere bisogna agire su tre livelli, tutti e tre fondamentali e interdipendenti, se vogliamo riportare un po’ di senso nel nostro futuro e preservare il valore della libertà, che è il nostro bene più prezioso:

 

  • LIVELLO DI GOVERNO GLOBALE: ci sono sicuramente alcune azioni a livello di governo di sistema che non coinvolgono la maggior parte di noi ma che sono fondamentali, come la regolamentazione dell’intelligenza artificiale[4], la protezione dei dati (su cui sempre l’Europa ha dettato il passo con il GDPR), ma anche (sempre citando Bremmer) la costituzione di una World Data Organization sulla falsariga della World Trade Organization. Sono temi su cui noi possiamo dare un contributo molto indiretto, perché sono i leader mondiali a dover scandire il passo, ma forse nelle nostre scelte quotidiane (consumo di servizi) e nell’esercizio primario della libertà che ci è dato in democrazia (elezioni) possiamo incidere sugli orientamenti dei leader.

 

  • LIVELLO CULTURALE: è chiaro che la battaglia che abbiamo davanti ha dei temi cogenti da affrontare subito, ma anche dei temi di medio-lungo periodo. E ogni volta che si ragiona sul medio-lungo, l’aspetto culturale è fondamentale. Noi europei abbiamo un back-ground culturale spesso molto orientato verso le discipline umanistiche e giuridiche, il che è una ricchezza perché ci ha permesso di essere leader, ad esempio, nella legislazione sulla protezione dei dati, ma che dobbiamo sempre più aggiornare per produrre una cultura digitale tecno-umanistica diffusa. Io credo molto nell’investimento culturale, che deve partire dalle nostre scuole superiori e università, per diffondersi a tutta la popolazione. Una popolazione digitalmente consapevole è una popolazione meno manipolabile, che orienta le sue scelte in un’ottica di sostenibilità. E sulla sostenibilità ci sarebbe ancora molto da scrivere…

 

  • LIVELLO PERSONALE: su questo fronte, oltre alla responsabilità di tutti come “fruitori di servizi digitali”, c’è una responsabilità specifica di chiunque, in un modo o nell’altro, sia un professionista del digitale. Chi lavora nei sistemi informativi di un’azienda, chi lavora nella produzione di servizi digitali, chi integra soluzioni tecnologiche di qualunque tipo ha una responsabilità importante. Ormai, lo abbiamo detto così tante volte da essere uno slogan abusato, “ogni azienda è una digital company”. Una scelta sbagliata può bloccare un’azienda, un’organizzazione IT non efficiente diventa un freno importante allo sviluppo, una non comprensione del potere del digitale può generare scelte eticamente scorrette. Infatti, la battaglia per un futuro digitale non distopico si combatte a diversi livelli, ma il “fronte” sono tutte le persone che lavorano nell’IT e che utilizzano i servizi digitali. Dai comportamenti responsabili e sostenibili di questi attori dipende molto del nostro futuro!

 

Chiudo parafrasando un altro autore a me molto caro. È vero che viviamo in un mondo complicato ma, se avessi potuto scegliere, non avrei scelto nessun’altra epoca in cui vivere[5].

[1] credits @Andrea Tironi

[2] https://www.youtube.com/watch?v=uiUPD-z9DTg

[3] Per avere qualche esempio, anche se non recentissimo ma sempre valido, ripropongo l’articolo: “Perché ho deciso di sospendere il mio account su Facebook”: https://www.yottabronto.net/il-mio-tessoro-facebook/

[4] https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20230601STO93804/normativa-sull-ia-la-prima-regolamentazione-sull-intelligenza-artificiale?&at_campaign=20226-Digital&at_medium=Google_Ads&at_platform=Search&at_creation=RSA&at_goal=TR_G&at_advertiser=Webcomm&at_audience=regolamento%20ia&at_topic=Artificial_intelligence_Act&at_location=IT&gclid=CjwKCAjwh8mlBhB_EiwAsztdBHj1ynRLIEM0H-ouqINjANvB2GNyn-WzpNnKb1w3tTeQnzptaf5DpBoCbnsQAvD_BwE

[5] Don Carlo Gnocchi, Educazione del cuore, 1937. La frase esatta è: “Amiamo di un amore geloso il nostro tempo, così grande e così avvilito, così ricco e così disperato, così dinamico e così dolorante, ma in ogni caso sempre sincero e appassionato. Se avessimo potuto scegliere il tempo della nostra vita e il campo della nostra lotta, avremmo scelto…il Novecento senza un istante di esitazione.”