12 Haiku sull’evoluzione digitale: l’anima giovane (terzo Haiku)

 

 (Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu)

“L’anima è vecchia,

Se guarda e non vede più

L’opportunità.”

 

Il terzo Haiku che vorrei condividere[1], parla di giovinezza, anche se non sembra. Perché la giovinezza (o la sua assenza) sta nello sguardo.

La foto che vedete in apertura è stata presa nel labirinto del percorso “Lo Spirito del Bosco” di Canzo. Per chi lo ha sperimentato, è certamente un’esperienza interessante. Come non smarrirsi? Forse basta alzare lo sguardo e vedere, tra i tronchi fitti e slanciati, la posizione del sole. Un piccolo esempio di opportunità (letteralmente: ciò che ti spinge verso il porto – dal latino ob e portum). Ne volete un altro? Sono sempre stato affascinato dalla teoria dei “devianti positivi”[2]. Tutto inizia da una coppia di medici che lavoravano per Save the Children, i coniugi Sternin. Questi studiarono i comportamenti di alcune madri nel poverissimo Vietnam rurale degli anni ’90. Scoprirono che, a parità di condizioni di povertà e disagio, alcuni bimbi non erano denutriti come gli altri. Incuriositi, andarono a fondo e si accorsero che le madri di questi fortunati non si comportavano esattamente come le altre. Ad esempio, aggiungevano qualche gamberetto al riso, forzavano i bambini a mangiare anche quando non stavano bene, frazionavano i pasti in modo che fossero sempre consumati completamente. Con questi semplici accorgimenti riuscivano a crescere figli forti e sani in comunità in cui i bambini erano quasi tutti denutriti.

Anche nelle nostre aziende c’è una “malnutrizione culturale” cronica. Negli ultimi anni, e ancor più durante il periodo della pandemia, abbiamo accelerato sempre più i percorsi di digitalizzazione e la maggior parte delle persone non ha avuto gli strumenti culturali per stare al passo.

Osservo due effetti. In qualche caso, anche a causa del fenomeno della “consumerizzazione” dell’IT, vi è un iper attivismo propositivo. La semplicità dell’ultima app viene fraintesa, facendo scivolare ogni discussione nei luoghi comuni tipo: “Lo voglio come Amazon, che ci vuole” oppure “basta fare un’app che costa poche migliaia di euro e abbiamo risolto” o ancora “io mi compro i servizi IT che mi servono sul cloud”. Non si riesce a capire che dietro l’apparente banalità di alcune app, che sono solo la punta di un iceberg, c’è un’architettura complessa, un pensiero strategico e meccanismi organizzativi e logistici impressionanti. Non è un caso se Jeff Bezos ha detto che Amazon è un’azienda di logistica. Non un sito di e-commerce, non un’app. Chi ha una cultura digitale vede la punta dell’iceberg e riesce a valutare la massa di lavoro sommerso che sostiene quella punta, chi non ha questa cultura iper-semplifica cadendo nella trappola di quelli che P. Watzlawick chiamava “i semplificatori terribili”[3].

In altri casi i benefici dell’evoluzione digitale sono invece stroncati dalla rassegnazione apatica rispetto alle difficoltà organizzative e relazionali che in ogni società umana complessa sono inevitabili. Allora diventa impossibile ogni cambiamento perché il Top Management non è abbastanza direttivo, oppure perché lo è troppo. Una iniziativa che non coinvolga tutti gli attori non può avere successo, ma ogni progetto a cavallo tra più direzioni è impraticabile per mancanza di fiducia e capacità di collaborazione. E poi quelli dell’IT ogni volta che chiedi qualcosa ti fanno 1000 domande e non se ne viene mai a una, oppure i key users non sanno mai cosa vogliono e ti fanno girare in tondo inseguendo requisiti che sono più “buone intenzioni” che espressioni di un’idea compiuta.

In entrambi i casi, che ci sia sgomento e paura di fronte della complessità dell’evoluzione digitale o entusiasmo acritico, si perde la capacità di vedere le opportunità che il digitale mette a disposizione.

Vi garantisco però che in tutte le aziende ci sono dei “devianti positivi”. Per rendere possibile una vera evoluzione digitale, bisogna partire da quello che abbiamo, dalle persone culturalmente più pronte. I “devianti digitali positivi” vi stupiranno perché non hanno età: a volte sono i più giovani, ma a volte anche persone “di esperienza”. I devianti digitali positivi sono ricchi di molte risorse, ma soprattutto hanno un talento innato per empatizzare e collaborare con gli altri, trovano soluzioni creative ai problemi, vedono le opportunità, non cercano mai un colpevole da accusare perché sanno che un’accusa è un muro, mentre loro costruiscono ponti.

Come far emergere le potenzialità umane delle nostre organizzazioni, valorizzando i devianti positivi, per trarre il meglio dall’evoluzione digitale? Vorrei poter condividere una ricetta, ma non ne ho. Ci sono però alcune cose che ho visto funzionare e che potrebbero aiutarci a svecchiarci e a “vedere il porto”. Ho visto funzionare l’innesto di nuovi professionisti (spesso giovani) in organizzazioni tradizionali: chi è in azienda da anni (a volte da decenni) ne trae stimoli nuovi apportando un contributo fondamentale di esperienza, i nuovi ingressi portano l’entusiasmo e una visione esterna che non guasta mai. Ho visto funzionare operazioni di “cultural hacking”, ossia piccoli cambiamenti che stimolano un nuovo modo di pensare e di agire. Da momenti di auto-formazione in cui un membro del team forma gli altri, alla formazione tradizionale ma accompagnata dalla presenza di un percorso di coaching post formazione. Ho visto funzionare i momenti di condivisione per favorire il networking con altre realtà simili, per evitare di reinventare sempre la ruota. Ho visto funzionare azioni di miglioramento continuo come le analisi post-mortem (e a volte pre-mortem) degli eventi critici. Ho visto funzionare i team misti IT-Business (fusion team li chiama ad esempio Gartner) e i momenti di confronto informale (pranzi, colazioni…) e di formazione cross-team. Ho visto funzionare la revisione dei processi in ottica Lean abbinata a percorsi di evoluzione digitale, in modo da considerare e ottimizzare tutti gli aspetti del servizio.

Invece non ho mai visto funzionare una trasformazione/evoluzione digitale in un contesto non disponibile al cambiamento culturale, dove le opportunità vengono trasformate nel tentativo spasmodico di evitare i rischi o nel trasferirli nel “campo” di qualcun altro. Non ho mai visto funzionare l’evoluzione digitale dove non vi è una cultura digitale (metodologica, tecnologica, architetturale) di base diffusa tra tutti gli attori e una capacità da parte dei professionisti IT di capire i processi e le priorità del business. È finito il tempo in cui culture diverse, poco comunicanti, potevano portare avanti processi di cambiamento in modo più o meno indipendente con il modello “a silos”. Le connessioni e le dipendenze sono aumentate esponenzialmente, il COVID lo ha dimostrato. E la comunicazione e la collaborazione tra professionisti IT e tutti gli altri stakeholder (portatori di interesse) non è mai stata così cruciale come ora. Le opportunità ci sono tutte, basta vederle. Anche nei momenti più bui. Come diceva Calvino ne “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Ma per riconoscere ciò che inferno non è e farlo crescere serve un’anima giovane, a qualunque età!

 

[1] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/levoluzione-digitale-spiegata-con-gli-haiku-il-ciclo-delle-rondini-la-il-metodo-agile/

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/levoluzione-digitale-spiegata-con-gli-haiku-il-nesso-tra-tecnologie-vette-e-obiettivi/

[2] Partite da qui e vi si apre un mondo: https://en.wikipedia.org/wiki/Positive_deviance

[3] https://www.stateofmind.it/2019/11/change-watzlawick-recensione/