Punta Castore, ovvero l’arte di saper rinunciare e il TechQuilibrium

Cosa ci insegna una vetta mancata… (il Castore)

Arriviamo al rifugio Quintino Sella dopo poco più di tre ore di salita, con qualche brivido per un temporale un po’ troppo vicino, ma per il resto ci siamo goduti anche qualche sprazzo di sole. Il paesaggio alterna rocce ancora calde al tatto a tratti di ghiaccio e neve: magia della montagna. Siamo in quattro: io, Gabriele (compagno di tante avventure da ragazzi, ritrovato dopo 30 anni ancora in forma come a 20!), Natan e la sua ragazza (la prima volta su ghiacciaio, con una grande performance!).

Improvvisamente mi pare che il mio rapporto con la natura, dopo tanti mesi di video-conferenze, sia ripristinato. Mi sento di essere tornato ad uno stato più naturale, ma forse neanche questo è corretto, perché anche la tecnologia ormai fa parte di noi, della nostra natura. Del resto anche nell’alpinismo c’è tanta tecnologia. Gli scarponi con le suole in Vibram che ci permettono di salire in sicurezza, le giacche di Goretex che ci proteggono dagli acquazzoni, le piccozze e i bastoncini che ci hanno reso sicuri sui tratti innevati o sconnessi: tutto questo non c’era o era molto diverso fino a pochi decenni fa. Forse è una questione di equilibrio. La giusta presenza di tecnologia nelle giuste proporzioni e per il giusto scopo: questo produce armonia. Lo sento ora che salgo questo bellissimo versante del Monte Rosa, ma l’ho provato anche quando ad esempio siamo riusciti ad alternare armoniosamente conference call con incontri di persona. Un paio di settimane così forse le ho vissute negli ultimi mesi. Il resto è stato una frenesia e una continua rincorsa dell’ultima emergenza o della priorità del giorno dopo (e a volte del giorno prima).

La domanda allora che mi pongo questa sera al rifugio, davanti alle splendide vetrate che si aprono sulla valle, è questa: come trovare l’equilibrio tra umano e digitale, come arrivare al punto giusto senza oltrepassarlo? Nell’alpinismo ci sono molti esempi in cui questo equilibrio è stato rispettato, ma anche molte situazioni in cui la natura è stata violentata da una tecnologia brutale usata come un’arma. L’esempio più eclatante è forse quello di Cesare Maestri sul Cerro Torre, con la celeberrima “via del compressore”[1]. Quale ruolo ha il senso del limite in questa nostra ricerca? Non lo sapevo ancora, ma il giorno dopo mi preparava una bellissima lezione.

La notte passa abbastanza tranquilla. Ci alziamo verso le 4, ma la partenza è un po’ lenta, perché tutte le cordate aspettano di capire come si muoverà il tempo. Sono previste schiarite in mattinata, ma forse nessuno l’ha detto al Monte Rosa e al Castore, che si pavoneggiano con un pennacchio di nubi basse e minacciose. Poi verso le 6:30 una parvenza di schiarita: si parte. Come sempre in questi casi i tempi lenti ed estenuanti dell’attesa si trasformano nella frenesia della preparazione, per cogliere l’attimo e non arrivare in ritardo alla parte alta del ghiacciaio.

Saliamo bene insieme ad altre cordate la prima parte di pendio ghiacciato. Arriviamo tra freddo e nevischio che ci sferza il volto alla prima rampa. Breve sosta per bere e mangiare qualcosa, poi ricominciamo a salire e ci lasciamo alle spalle la prima rampa. La seconda rampa arriva poco dopo ed è vicina ad una piccola cresta (non ancora quella famosa che conduce alla cima), dove il vento crea qualche problema. La cordata davanti a noi si acquatta per qualche minuto aspettando che passi, poi si girano e scendono. Noi continuiamo insieme ad altri, un po’ più lenti e prudenti. Arriviamo abbastanza agilmente ai 4000 metri e qui la visibilità si annulla. Siamo nelle nubi. La cordata di fronte a noi si blocca. Li raggiungiamo e capiamo che sono arrivati sull’orlo di una discesa dubbia. Consultiamo la mappa satellitare: siamo fuori strada. Torniamo indietro e ritroviamo la traccia, ma le nubi sono sempre più dense. Si vede solo a pochi metri.

Quello è stato il momento della decisione. Eravamo in quattro persone, abbiamo iniziato un dialogo serrato tra rischio e desiderio. Sapevamo di essere a non più di 200 metri di dislivello dalla vetta. Trenta, forse 45 minuti. Ma davanti a noi c’era la cresta finale (non difficile, ma certamente invisibile) e il dubbio sul ritorno. Se le condizioni fossero peggiorate e avesse iniziato a nevicare potevamo perdere la traccia. Le cordate davanti a noi erano rientrate, anche se qualche improbabile gruppo di francesi continuava a salire imprecando. Poi abbiamo deciso all’unanimità di rientrare. Come dice un mio amico e maestro di montagna, andare per cime è anche questo: “l’arte di saper rinunciare anche vicino alla vetta”. Durissima.

Ci giriamo e affrontiamo il ritorno. Nella mente la lezione di Gaudì sul limite: la Torre di Gesù Cristo, ancora da completare, farà della Sagrada Familia l’architettura sacra più alta in Europa. Ma Gaudì la concepì inferiore di mezzo metro rispetto al vicino Montjuïc, perché la sua creazione non superasse quella di Dio. Lo so, ho citato Gaudì già troppe volte nei miei scritti, ma credo che nell’opera di questo grande uomo, come nell’esperienza di chi va in montagna, ci sia una lezione sul senso del limite che dovremmo meditare. Anche (e forse soprattutto) quando parliamo di tecnologia. Del resto anche Gartner, acuto osservatore della trasformazione digitale incorso, parla sempre più frequentemente di TechQuilibrium[2], ossia del punto di equilibrio tra tecnologia e processi tradizionali che ogni azienda deve ricercare. Forse basterebbe avere un po’ più di consapevolezza di quanto siamo piccoli e immensi nello stesso tempo, per rapportarci diversamente con la realtà. E per saperci porre dei limiti, perché anche scegliere e accettare un limite è un atto di libertà. Forse il più profondamente umano.

Altre foto disponibili qui!

 

Se invece vuoi sapere cosa è successo la settimana successiva… leggi questo:

Lyskamm e nuvole: riflessioni sulla vita e sull’evoluzione digitale

 

 

[1] http://trentinowow.it/via-del-compressore/

[2] https://www.gartner.com/smarterwithgartner/gartner-keynote-find-your-digital-business-techquilibrium/