L’organizzazione agile chiave dell’evoluzione digitale: cosa possiamo imparare dai monasteri benedettini. Parte 3 (ultima): il livello globale (network e governance)

A lezione di trasformazione digitale dai monasteri benedettini

Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu

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L’organizzazione agile e la lezione benedettina: il network e la governance

Abbiamo descritto come l’organizzazione del monastero Benedettino agisca a livello locale tramite una grande attenzione al senso di appartenenza e alla motivazione dei suoi membri, così come a creare quel senso di tranquilla sicurezza che trasmette un chiostro. C’è però un ulteriore livello che abbiamo chiamato globale, forse meno noto ma per alcuni aspetti più interessante, che riguarda il network e la governance. Il monastero benedettino ha la caratteristica di vivere di regole millenarie, ma di adattarsi continuamente ai mutamenti dell’ambiente circostante. Un prodigio di governance agile.

Coinvolgimento di tutti e coordinamento tra team diversi: il segreto di una governance agile e millenaria

Questo è uno degli aspetti più interessanti sia a livello aziendale che nell’esperienza benedettina. Se motivare le persone a collaborare tra loro in un team è un’arte, far sì che diversi team collaborino proficuamente tra loro è l’arte al cubo. Ma è anche quello che ci distingue e ci rende capaci di grandi cose, come abbiamo visto nella citazione introduttiva di Harari. Anche in questo caso ci sono tre “segreti” su cui la tradizione monastica ha qualcosa da insegnarci:

  1. Il primo è legato a quanto detto sopra: la motivazione intrinseca delle persone e il contesto sicuro e ricco di feedback sono gli ingredienti base per far cooperare bene team diversi tra loro. Le organizzazioni stoiche del diagramma iniziale, ossia quelle in cui persone demotivate e incapaci di collaborare in team collaborano invece tra team diversi, sono più un’astrazione teorica che una realtà. Di fatto se non ci sono i punti di cui sopra la quasi certezza è di finire in un’organizzazione manicomio. Ma questo non basta, perché potrei trovarmi con molti Clan coesi e motivati che non cooperano tra loro.
  2. Il secondo punto, spesso sottovalutato ma importantissimo per favorire la cooperazione tra team diversi, è la gestione degli spazi (fisici e virtuali). Vi sono moltissimi studi che dimostrano[1] come la prossimità “visuale” abiliti una serie di dinamiche positive nella relazione. La curva di Allen[2] lo rende evidente:

Quando la distanza supera i 50 metri le comunicazioni crollano. Se poi vi è la separazione in piani diversi, quindi con una barriera visuale oltre che di distanza, il risultato è ancora più drastico. Per questo molte aziende hanno focalizzato la progettazione architettonica dei loro edifici sulla massimizzazione degli incontri casuali e dei contatti tra team. Esempio sono la “Infinite Street” dell’MIT, l’impianto di produzione della Skoda di Mlada Boleslav nella repubblica Ceca o la BMW Projekthaus a Monaco. Anche qui l’ispirazione di molti di questi lavori può essere rintracciata nelle architetture dei monasteri medioevali[3].

Infatti, l’architettura di un tipico monastero offre tre tipi di spazi in grande equilibrio tra loro: gli spazi dedicati alla preghiera (o alla parte di ispirazione), gli spazi dedicati alla produttività e all’isolamento (celle, dormitori, scriptorium…) e gli spazi dedicati alla vita comune (refettorio, sala capitolare, chiostro). In particolare si noti come il chiostro funga da “collante” tra tutti gli ambienti e facili proprio i collegamenti “orizzontali” e gli incontri casuali. Un equilibrio perfetto che le aziende moderne stanno lottando per ritrovare, soprattutto in periodo di smart working più o meno forzato. Che questo equilibrio sia fondamentale lo dimostrano diversi studi sui team ad alte performance. Sembra che per generare la sensazione di sicurezza e di appartenenza necessaria ad ogni team per raggiungere risultati eccellenti, la parte più antica del nostro cervello (l’amigdala) abbia bisogno di segnali costanti che rafforzino questa sensazione[4]. Vedersi spesso, avere interazioni brevi e di rafforzamento positivo, intrattenersi in incontri casuali e non finalizzati sono tutti segnali essenziali per la nostra amigdala.

  1. Il terzo punto è quello forse più difficile e riguarda il networking tra team e per estensione la governance. Da questo punto di vista i monasteri sono stati oggetto di studio per come hanno saputo risolvere il problema dell’agente. In poche parole, tutte le organizzazioni in cui la proprietà (mandante) è distinta da chi gestisce e guida l’organizzazione per conto della proprietà (agente) hanno il problema dell’allineamento tra agente e desideri del mandante. I monasteri lo hanno risolto brillantemente: prova ne sia la durata e il bassissimo tasso di “fallimenti” (intesi non solo in senso economico e di chiusura, ma anche di deviazione dai valori condivisi) [5]. Le tecniche utilizzate sono quelle che permettono una partecipazione di tutti al governo e quindi favoriscono anche il networking tra i diversi team. Alcuni passi della regola sono illuminanti: “Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore. […] Se poi in monastero si devono trattare questioni di minore importanza, si serva solo del consiglio dei più anziani”[6]. Questo è già un rovesciamento radicale rispetto a quello che avviene nella maggior parte delle aziende, dove le cose importanti sono discusse a porte chiuse dal top management e (a volte) le questioni minori con il coinvolgimento di tutti. Questo approccio molto partecipativo, insieme al fatto che l’Abate è eletto da tutti in modo democratico, garantisce il coinvolgimento dei membri dell’organizzazione benedettina nei processi decisionali e facilità la collaborazione tra le diverse componenti del monastero. Inoltre vi è un’azione di monitoraggio e di salvaguardia degli organi centrali (ogni congregazione ha le sue strutture) in caso di problemi, con delegati e visite periodiche. Nelle aziende la situazione è un po’ diversa: l’approccio top down è stato smontato a livello di team (soprattutto dove sono stati introdotti i principi dell’Agile), ma a livello di governance generale l’approccio verticistico e gerarchico è la regola nella maggior parte delle aziende. E se le nostre organizzazioni “laiche e moderne” avessero bisogno di imparare un po’ di democrazia e di coinvolgimento (qualcuno direbbe empowerment, ma i monaci di certo userebbero altri termini) proprio dai monasteri benedettini?

Conclusioni

Potrebbe sembrare paradossale, ma un’organizzazione apparentemente tradizionalista e conservatrice come quella dei monasteri offre spunti incredibili di innovazione di governo e di gestione delle persone alla maggior parte delle aziende, che vivono di processi top down e di governo gerarchico e centralizzato. Questo non stupisce se si pensa al pragmatismo e al realismo che animò S. Benedetto e i primi monaci nel darsi delle regole di convivenza comune. Come abbiamo visto in altri contesti[7], l’approccio rigido, fragile e top down nella governance delle organizzazioni non è naturale o inevitabile per l’uomo: è solo uno dei possibili approcci, in alcune epoche storiche maggioritario, ma non l’unico[8]. Si noti che non si vuole qui additare i monasteri benedettini come un’organizzazione senza problemi, sarebbe irrealistico. I pueri oblati di cui si è parlato, così come le degenerazioni e le ingerenze di signori e vescovi locali e la pratica della commenda hanno portato innumerevoli problemi e anche fallimenti. Però credo sia innegabile che i monasteri abbiamo avuto un ruolo storico importantissimo, una longevità fuori dal comune per le organizzazioni umane e un tasso di innovazione che per alcuni secoli è stato esplosivo. Alcuni esempi di innovazioni dovute ai monasteri? La birra, gli ospedali, lo champagne, moltissime invenzioni nell’ambito dell’agricoltura, la partita doppia[9], i codici miniati, il parmigiano reggiano, il voto segreto, gli orologi, diversi nuovi farmaci, le dighe olandesi, le note musicali, l’apicoltura, le marcite, la botanica, la cera, diversi tipi di mulini…

Insomma quella dei monasteri benedettini è un’organizzazione che ha saputo adattarsi ai cambiamenti, innovare ed evolversi pur restando fedele ai propri principi e ideali: una vera organizzazione agile che ha ancora molto da insegnarci![10]

 

[1] Per una sintesi si veda l’interessante tesi: “RECIPROCAL INFLUENCES BETWEEN THE DESIGN AND ARCHITECTURE OF WORKPLACE AND THE DEVELOPMENT OF INNOVATION” di Chiara Rampini (https://www.researchgate.net/publication/317099621_RECIPROCAL_INFLUENCES_BETWEEN_THE_DESIGN_AND_ARCHITECTURE_OF_WORKPLACE_AND_THE_DEVELOPMENT_OF_INNOVATION)

[2] Allen, Thomas J. (1984). “Managing the Flow of Technology: Technology Transfer and the Dissemination of Technological Information Within the R&D Organization”. Ed. MIT Press.

[3] Allen and Henn (2007)

[4] Coyle, D. (2018). “The Culture Code: The Secrets of Highly Successful Groups”. Ed. Random

[5] https://www.researchgate.net/publication/23756846_The_Corporate_Governance_of_Benedictine_Abbeys_What_can_Stock_Corporations_Learn_from_Monasteries

[6] Regola, capitolo III versetti 1-3 e 12 (https://ora-et-labora.net/RSB_it.html)

[7] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lavoro-agile-e-questione-di-equilibrio-quale-modello-culturale-per-trarne-beneficio/

[8] Laloux, F. (2014). “Reinventing Organizations: A Guide to Creating Organizations Inspired by the Next Stage in Human Consciousness”. Ed. Nelson Parker

[9] https://core.ac.uk/download/pdf/6601813.pdf

[10] Folador, M. (2016). “L’organizzazione perfetta. La regola di San Benedetto”. Ed. Guerini (Italian only)