(Articolo pubblicato in anteprima su AgendaDigitale.eu)
Perché l’accessibilità è fondamentale
L’accessibilità è un tema trasversale. Anzi, sarebbe più corretto dire che è un diritto fondamentale. Vi è l’accessibilità ai servizi di base[1] (acqua, istruzione, cibo…) ma, negli ultimi anni, ha acquisito una rilevanza sempre maggiore l’accessibilità ai servizi digitali.
Credo che ciascuno abbia avuto modo di sperimentare qualche forma di deprivazione dai servizi digitali. A volte succede perché si smarrisce il cellulare, altre volte per un guasto al pc, in qualche caso per eventi catastrofici (black-out…) oppure per scelta, ad esempio perché si viaggia in un angolo sperduto di mondo non coperto da connettività Internet. L’effetto è disorientante. Come per le vasche di deprivazione sensoriale, la maggior parte delle persone non resiste a lungo. E diffidate di quelli che vi dicono: “io posso tranquillamente farne a meno”. Sono un po’ come i fumatori che ti dicono: “io posso smettere quando voglio. Ho smesso proprio ieri”. E se tu chiedi come mai l’ex fumatore stia fumando proprio in quel momento, la risposta di solito è: “perché dopo aver dimostrato di saper smettere, ho deciso che potevo ricominciare”. Insomma, se la privazione dal digitale può essere tollerabile, a volte piacevole e forse salutare per un periodo limitato, a lungo andare ci resta difficile da gestire. Non poter usare il navigatore satellitare, non poter comunicare con i propri amici o i propri cari via whatsapp, non accedere ai social, non poter esperire le pratiche burocratiche online, non accedere all’home banking, non poter utilizzare le proprie app preferite… siamo onesti, è davvero difficile farne a meno. E quando ci capita, ci sentiamo esclusi, impotenti, limitati.
Ecco ora pensate alle tante, tantissime persone che sono costantemente escluse, impotenti, limitate. Le motivazioni sono molteplici. Alcune sono escluse perché persone disabili, poste di fronte a tecnologie non accessibili. Altri sono esclusi per ragioni economiche o geografiche, perché il digital divide è una formidabile barriera all’accesso. In altri casi ancora le persone sono limitate da strumentazioni non adeguate ai loro bisogni, anche se spesso esistono ausili che potrebbero superare il problema. In ultimo, anche la non conoscenza e la mancanza di digital literacy sono una forma di esclusione.
Purtroppo, nella storia si è commesso ripetutamente lo stesso errore: sviluppare edifici, infrastrutture e servizi (fisici o digitali) non accessibili e provare a reingegnerizzarli a posteriori. Un disastro. Lo abbiamo fatto per un tempo infinito (e a volte lo facciamo ancora) con gli edifici e con le infrastrutture. Poi lo abbiamo fatto con internet. Il rischio è di fare lo stesso errore con l’Intelligenza Artificiale. Come tutti i requisiti strutturali, anche l’accessibilità funziona bene se concepita “by design” e non a posteriori. Questa è la grande lezione di secoli di architettura e di ingegneria.
Il secondo motivo per cui l’accessibilità è fondamentale è che, lavorando sull’accessibilità “by design”, si scopre ad un certo punto un risvolto positivo bellissimo: ne beneficiano tutti! Vi sono molti studi[2] che dimostrano come l’applicazione dei principi di “Universal Design” non va a beneficio solo di alcune categorie (persone con disabilità o bisogni speciali) ma di tutti. Innanzitutto perché un’architettura (fisica o informatica che sia) sviluppata secondo il paradigma della progettazione universale è più funzionale e presenta meno barriere in generale. E poi perché abbiamo una probabilità altissima nel corso della nostra vita di rientrare, per un tempo più o meno lungo, nella categoria di persone che qualche tipo di disabilità o bisogno speciale lo hanno[3]. Chi di noi non ha provato a portare le stampelle per qualche settimana e a lamentarsi dell’accessibilità degli edifici? Chi non ha provato a spingere la sedia a rotelle di un parente anziano sui marciapiedi disastrati delle nostre città? Chi non ha dovuto supportare una zia o una nonna nell’accesso difficoltoso ai servizi digitali? E probabilmente è solo questione di qualche anno (o decennio) prima che anche noi ci si trovi nelle stesse condizioni. Peraltro, come ho spiegato in un precedente articolo[4], l’Intelligenza Artificiale, oltre che oggetto di studio e di intervento per quanto riguarda l’accessibilità, è anche essere un formidabile alleato nel supportare l’accessibilità ai servizi digitali.
Se l’AI non è accessibile, continuerà ad escludere tante, troppe persone.
Perché la sostenibilità e importante
Facciamo ora un esperimento mentale, come quelli che amava fare Einstein. Però il nostro, visto l’abisso che ci separa dal grande Albert, sarà molto più semplice dei suoi.
Ipotizziamo che in un prossimo futuro tutti i problemi visti sopra (accessibilità, inclusione, equa gestione della diversità…) siano risolti. Intendo completamente risolti. Gli strumenti di AI non avranno più le pecche che ancora presentano. Quindi l’AI sarà disponibile a tutti?
Purtroppo, c’è un’altra barriera fondamentale, quella della sostenibilità. Infatti, l’AI ad oggi è assai poco sostenibile[5]. Questa è una delle ragioni per cui presenta costi così elevati. In effetti, se calcolassimo bene i costi ambientali, gli abbonamenti ai servizi di AI probabilmente dovrebbero essere ancora più cari di quanto non siano.
Questa è un altro “show stopper” nel percorso verso un’AI per tutti. Proiettare gli attuali modelli architetturali e di erogazione del servizio dell’AI su larga scala sarebbe totalmente insostenibile sia per le aziende che soprattutto per l’ambiente. E anche per i singoli cittadini, se pensiamo ai paesi in via di sviluppo: abbonamenti che oscillano tra i 20 e i 30 dollari al mese sono destinati ad una elite mondiale, quella dei paesi industrializzati. O alle elite dei paesi in via di sviluppo. Non sono certo strumenti per tutti. Nell’Africa subsahariana il 42,7% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno[6], il che vuole dire meno di 60 dollari al mese per tutte le necessità della vita: ovviamente è impossibile investire 30 dollari in uno strumento di AI. È come se un italiano medio dovesse spendere 15.000 euro l’anno per ChatGPT![7].
E non basta lo sviluppo di modelli open source, perché anche se togliamo il costo delle licenze e delle marginalità dei big player, il puro consumo di risorse di calcolo rimane comunque importante e contribuisce a mantenere alto il livello di costo.
Insomma, se l’AI non è sostenibile, non è per tutti.
Cosa fare?
Innanzitutto, prendere consapevolezza. Purtroppo, e lo dico da persona convinta che l’AI non sia un fenomeno passeggero, ma un cambiamento radicale del modo di vivere e di lavorare, oggi le posizioni sono molto polarizzate e questo non favorisce un dialogo costruttivo.
Da una parte, il partito degli “scettici dell’AI” vede il male ovunque, in un neo-luddismo che non aiuta a comprendere il fenomeno e a fare passi in avanti nel trovare soluzioni.
Dall’altra gli “entusiasti dell’AI” colgono ogni argomentazione rispetto alla sostenibilità, all’inclusione o all’accessibilità come una indebita limitazione. “Non ci credi abbastanza”, mi è stato detto recentemente da una persona a cui cercavo di spiegare il tema della sostenibilità. Come se fosse un atto di fede: pro o contro l’AI. Non è questo il framing mentale corretto. Come ogni problema complesso, richiede una capacità di vederne e scandagliarne le diverse sfaccettature, non un’adesione fideistica o un rifiuto aprioristico. Con senso critico, realismo e un approccio basato sui fatti (più che sulla fede) dobbiamo capire i problemi e trovare soluzioni.
Partendo da una consapevolezza e da un framing mentale corretto, tante cose si possono e si devono fare.
Proviamo ad elencarle alcune, a mio parere prioritarie:
- RICERCA: la ricerca deve avere un focus sulla sostenibilità dell’AI, non solo sulle prestazioni. Perché questo, oltre ad essere “la cosa giusta”, come direbbe il dott. Max di “New Amsterdam”, è anche una buona scelta di business. Chi riuscirà a fornire servizi di AI veramente accessibili e a costi contenuti avrà un vantaggio notevole sul mercato. Su questo l’Europa può e deve giocare un ruolo fondamentale. Oggi l’Europa gioca a fare il “vigile” che guida il traffico, definisce le norme… ma non guida! È il momento di abbinare questo nostro genio etico e normativo alla capacità di fare, di costruire, di mostrare la via non solo con leggi e decreti, ma con soluzioni concrete che favoriscano l’accessibilità e la sostenibilità.
- CONSAPEVOLEZZA e FORMAZIONE: mi piacerebbe fare un test. Quanti degli utilizzatori di ChatGPT-4o sono consapevoli che, selezionando la dropdown list vicino al nome del modello, è possibile accedere a modelli meno energivori per task che non richiedono la versione più potente di ChatGPT?
Ad esempio GPT4o mini, “our lightest-weight intelligence model”, secondo quanto dichiara OpenAI. Oppure si può usare anche il modello precedente GPT-4, che va benissimo per molte attività.
È un tema di consapevolezza e di competenza. Numerosi indici misurano il nostro livello di competenza digitale. Ad esempio il DESI[8]:
Nei diversi indici l’Italia purtroppo figura sempre nella coda dei paesi a basse competenze digitali.
Su consapevolezza e competenza molto si può e si deve fare con programmi di formazione specifici che partano dalle scuole e dalle università, ma che non trascurino la popolazione adulta che ha già terminato il percorso canonico di studio. Ma non solo con formazione generica o mirata all’uso degli strumenti, ma anche con percorsi di consapevolezza su inclusione, accessibilità, sostenibilità…
- Orientare le scelte dei consumatori: non sono un grande fautore dell’uso di strumenti normativi per definire le strategie digitali, purtroppo abbiamo avuto molti esempi non sempre positivi in tal senso. Tuttavia, in questo caso penso che interventi che orientino i consumatori e favoriscano scelte consapevoli sarebbero da implementare quanto prima. Perché non pensare ad una catalogazione per classi energetiche degli strumenti di AI, oppure perché non favorire una maggiore trasparenza sui consumi energetici? Anche rispetto all’inclusione e all’accessibilità norme simili a quelle introdotte per il web potrebbero aiutare grandemente ad orientare le scelte delle grandi corporation e dei consumatori. La novità delle tecnologie di AI è che, almeno in occidente, non solo lo sviluppo, ma anche la ricerca è quasi totalmente nelle mani di attori privati. Gli investimenti necessari sono tali che solo le grandi corporation occidentali o alcuni governi (di paesi non sempre democratici) posseggono i “muscoli” necessari per fare ricerca e sviluppo in questo ambito. E il mercato, ormai lo abbiamo imparato, va guidato. Senza bloccare lo sviluppo, ma orientandolo. Del resto il tema non è quanto veloci o lenti andiamo, ma dove ci stiamo dirigendo.
Per concludere, se le tecnologie digitali, in particolare l’AI, stanno diventando un bisogno fondamentale per lo sviluppo delle persone e delle società, bisogna attrezzarsi perché siano disponibili al maggior numero di persone possibili. Un collega mi diceva che con l’AI generativa si sentiva come Tony Stark, un supereroe con tanto di superpoteri. Dobbiamo evitare che si sia un’elite dell’umanità con i superpoteri, separata da tutti gli altri. Perché quando questo succede non finisce mai bene. Forse è sempre stato così (del resto anche il benessere economico è un superpotere), ma può darsi che sia arrivato il momento di fare qualcosa per evitare che questo divario continui a crescere. E non a posteriori: by design!
[1] https://www.undp.org/publications/equitable-access-basic-services
[2] https://universaldesign.ie/about-universal-design/benefits-and-drivers
[3] https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=109488
[4] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/limportanza-di-aida-intelligenza-artificiale-per-diversita-e-accessibilita/
[5] https://www.agendadigitale.eu/smart-city/lia-consumera-tutta-lenergia-del-mondo-ecco-gli-inquietanti-scenari/
[6] https://www.actionaid.it/informati/notizie/poverta-mondo#:~:text=I%20dati%20globali&text=Meno%20di%20due%20dollari%20al,1%2C90%20dollari%20al%20giorno.
[7] Il reddito medio degli italiani è di 30.284 Euro (https://www.forbes.com/advisor/it/business/stipendio-medio-italia/)
[8] https://digital-decade-desi.digital-strategy.ec.europa.eu/datasets/desi-2022/charts/desi-composite?indicator=desi_sliders&breakdownGroup=desi&period=2022&unit=pc_desi_sliders