La lezione di Israele sulla business agility – Parte 1: Hebron (la necessità) e Tel Aviv (l’innovazione come ecosistema)

Una riflessione sulla business agility (o organizational agility) a partire da quattro immagini di un paese in bilico tra eccellenza e caos, Israele:

  • Hebron, ovvero della necessità
  • Tel Aviv, ovvero dell’innovazione come ecosistema
  • Il Kibbutz, ovvero dell’umiltà
  • Gerusalemme, ovvero della diversità

Introduzione

Carissima Stella,

abbiamo parlato tanto di tecnologia su questo blog e ultimamente ti ho raccontato molte storie del nostro viaggio in Israele. Ora vorrei mettere insieme questi due temi per mostrarti come organizzazione e tecnologia possono essere usate insieme per ottenere risultati incredibili. Le tecnologie digitali e l’innovazione vengono impiegate per raggiungere diversi obiettivi: possono essere strumenti per efficientare i processi e i costi, piattaforme o invenzioni per abilitare nuovi servizi, oppure leve per grandi trasformazioni. Uno dei paradigmi più interessanti che sta emergendo ultimamente è l’utilizzo delle tecnologie digitali non per raggiungere un solo grande obiettivo, ma per adattarsi in modo continuo al contesto che muta sempre più velocemente. Non si parla più allora di digital transformation, quasi che la trasformazione digitale avvenisse una sola volta, ma di organizational o business agility, definita come la capacità di un’organizzazione di adattarsi al cambiamento in modo continuo, efficace e sostenibile[1]. E questo non è più un lusso da primi della classe, ma un requisito di sopravvivenza per un numero sempre maggiore di aziende e organizzazioni. Il tema è un po’ complesso, ma sono sicuro che mi seguirai. Anche se ora non sei più così giovane, l’agilità è sempre stata una delle tue caratteristiche più spiccate!

Lo stato di Israele è un caso direi unico nella storia recente di una organizzazione che ha mostrato una capacità di adattamento senza precedenti. Infatti la chiave di lettura di Israele non è, a mio parere, solo l’innovazione, ma l’innovazione e la tecnologia come strumento per garantire l’adattamento continuo al contesto e in ultima analisi la sopravvivenza.

Vedremo quelli che mi paiono alcuni principi cardine della organizational agility di Israele attraverso quattro immagini prese dalla sua storia recente e passata:

  • Hebron, ovvero della necessità
  • Tel Aviv, ovvero dell’innovazione come ecosistema
  • Il Kibbutz, ovvero dell’umiltà
  • Gerusalemme, ovvero della diversità

CAVEAT: anche se parlerò di organizational o business agility a partire da immagini concrete tratte da Israele, questo articolo non affronterà temi politici. Vorrei comunque precisare che l’ammirazione che nutro per i traguardi che questo splendido paese ha raggiunto rispetto all’innovazione tecnologica e alla capacità di adattamento, non implica un’adesione rispetto alle scelte politiche del governo israeliano. Dal 2000 in poi si è assistito ad una progressiva involuzione e radicalizzazione delle posizioni, sia da parte Israeliana che Palestinese, con gli esiti che abbiamo sotto gli occhi. Il tema è troppo complesso e non può essere liquidato in poche righe: rimando al diario di viaggio del nostro tour in Israele e Giordania dello scorso agosto per qualche riflessione in più sul tema.

Hebron, ovvero della necessità

Il centro di Hebron è un paesaggio spettrale e surreale insieme. Ci si arriva passando dai vicoli della città vecchia, ricchi della vita straripante di ogni cittadina araba, e poi da un posto di blocco con gabbie e controlli serrati. Poi si raggiunge il check-point israeliano, presidiato da militari giovanissimi, e si arriva infine a quello che era il vecchio centro storico, oggi deserto. Quest’area è infatti una zona di passaggio tra la parte palestinese e gli insediamenti israeliani. Le case con le finestre vuole, un’altalena abbandonata, i negozi con le saracinesche chiuse e ormai fatiscenti. E ogni tanto l’auto di qualche colono che transita. L’insediamento israeliano nel centro di Hebron conta poche centinaia di coloni, circondati da circa 2000 militari. È l’unico insediamento nel centro di una città palestinese. Qui si ha più che altrove la sensazione di un Israele assediato. Poco importa se l’assedio è frutto di una decisione discutibile, come quella di creare un’enclave israeliana dentro Hebron. Parlando con i militari di guardia ai checkpoint, che in tre quasi non arrivano alla mia età, capisci anche come sia vivissimo per loro il senso della necessità, la minaccia che incombe e da cui devono proteggere i loro concittadini e il loro paese.  In termini più generali, Israele è un paese assediato e in guerra dalla sua fondazione. Da quando nel 1948 finì il protettorato britannico, e il Generale Allenby disse: “Non dureranno una settimana”, i cittadini di Israele sono sopravvissuti ad attentati, guerre, imboscate, terrorismo, boicottaggi. Il nemico era spesso più forte, quasi sempre più numeroso. Gli Israeliani hanno reagito costruendo una società in perenne mobilitazione militare. Uno dei miei figli, notando questo stato di cose, una sera a Gerusalemme disse: “Questa è Sparta!”. Un po’ è vero, fa parte della loro storia[2]. Questo perenne senso di minaccia e la necessità di adattarsi continuamente sono uno degli ingredienti chiave del successo di Israele. Il nemico prima erano i paesi arabi con gli armamenti tradizionali, poi i terroristi suicidi, i razzi lanciati da Gaza o dai paesi confinanti, le armi nucleari dell’Iran. E Israele si è sempre adattato ed ha reagito in modo innovativo. Nuove tecniche per contrastare la guerriglia. Iron Dome per fermare i razzi. La Cyberwar per bloccare le centrifughe degli impianti nucleari Iraniani. Potrei citare centinaia di esempi, ma potete approfondire leggendo “The Weapon Wizards: How Israel Became a High-Tech Military Superpower”[3]. Anche per le organizzazioni, percepire la necessità del cambiamento continuo è fondamentale. Kotter[4] parlava di “urgenza del cambiamento”. Nessuno cambia se non vi è costretto, se pensa che non sia necessario. Ancor meno naturale per la maggior parte delle persone è il cambiamento continuo.

Inoltre l’economia di guerra nata dalla necessità ha avuto altri due esiti importanti. Innanzitutto, tramite la leva obbligatoria, ha fatto partecipi della necessità gran parte dei suoi cittadini. Non è un caso se a Hebron vengono mandati ragazzi così giovani. Inoltre i feedback dal campo hanno stimolato un’innovazione molto concreta e focalizzata, con ricadute anche sulla società civile e sulle aziende.

Se la necessità è la madre del cambiamento, la necessità continua è la base del cambiamento continuo, ossia della business agility.

Tel Aviv, ovvero dell’innovazione come ecosistema

Di Tel Aviv, anche se ci siamo solo transitati, ho diverse immagini: le prime sono parte della mia memoria e includono sciami di monopattini elettrici che sfrecciano sulle piste ciclabili, la bella spiaggia cittadina, i grattacieli e le Bauhouse, i locali e i mercatini sotto i palazzi delle grandi corporation. Le altre immagini sono indirette e vengono da libri, film e saggi sia sulle imprese del Mossad[5] che sull’economia e la cultura della città. “[6]Start-up Nation: The Story of Israel’s Economic Miracle” è il più famoso, anche se onestamente ormai un po’ datato e forse anche troppo mitizzato. Ma come tutti i miti contiene un nucleo di verità importante. Il fatto che una delle nazioni più piccole al mondo sia la seconda per numero di start-up non può essere ignorato. Prima di loro solo gli Stati Uniti! E naturalmente Israele è la prima al mondo per numero di start-up pro-capite. Il vero punto di forza però è la capacità degli imprenditori israeliani di sostenere l’innovazione: molte start-up sono diventate aziende internazionali. La lista sarebbe lunga, ma è sufficiente citare Checkpoint, Waze (poi venduta a Google), Wix, Babylon, Cyber-Ark, Kramer Electronics, Zebra, GlucoMe, Arbe Robotics, Airobotics, Viber, Flytrex, Cortica, Mobileye e tante altre.

Gli ingredienti di questa capacità di innovazione formano un vero e proprio ecosistema. Da un lato ci sono le università. Non sono tantissime, ma molte di queste sono costantemente presenti nelle classifiche delle top al mondo. L’università di Tel Aviv è la più grande del paese. Tra le altre le più famose ci sono il Technion, il Weizman Institute of Science, l’Hebrew University, l’Università di Haifa e la Ben Gurion University nel Negev. Poi ci sono gli enti dedicati alla ricerca legati alle università, come Yeda della Weizmann, primo al mondo per le royalty raccolte dai brevetti, o lo Yissum della Hebrew University. I cerchi concentrici si allargano poi con l’ecosistema delle start-up, molte nate dall’ambito universitario e forse ancora di più da quello militare. Ma accanto alle aziende israeliane ci sono anche i centri di ricerca delle maggiori aziende di tecnologia mondiali: basti citare CISCO, Intel, IBM e Microsoft con i loro centri storici. Alcune delle innovazioni più importanti di queste aziende sono nate proprio in Israele, come i chip più innovativi di Intel. Inoltre la capacità di questo piccolo stato di attrarre investimenti esteri è superiore a qualunque altro stato.

Certo in questo ecosistema non si può dimenticare l’industria bellica, che stimola l’innovazione in modo importante. Per Israele essere sempre “un po’ più avanti” dei paesi vicini è una questione di sopravvivenza, come abbiamo visto parlando di Hebron. In questo contesto anche la leva obbligatoria è uno stimolo ulteriore, perché permette ai cittadini di sperimentare in prima persona l’innovazione prodotta dall’esercito. Tuttavia vi sono altri paesi, come Singapore, con budget militari importanti e leva obbligatoria, ma che non hanno neanche lontanamente lo stesso numero di start-up di Israele.

Qual è la ragione di questa unicità? Come l’acqua è l’elemento principale della vita, anche l’ecosistema dell’innovazione di Israele è immerso in un contesto culturale unico. Si pensi che Israele ha 109 ingegneri e scienziati ogni 10.000 abitanti e che il 45% degli israeliani va all’università. Le ondate migratorie hanno contribuito enormemente: tra gli anni 90 e gli anni 2000 arrivarono in Israele 800.000 immigrati russi, con un tasso di ingegneri e scienziati altissimo. Del resto da sempre gli ebrei sparsi nel mondo hanno avuto un livello di scolarizzazione elevato. Si pensi che secondo alcune statistiche il 20% dei premi Nobel è di origine ebraica. E anche oggi moltissime innovazioni in ambito sanitario (dispositivi medici o telemedicina), in ambito militare (Iron Dome, i carri armati con corazza esplosiva, mitragliatore Uzi…) e in ambito agricolo (irrigazione a goccia) si sono diffusi da Israele nel resto del mondo. E tutto questo avviene in uno stato grande come la Lombardia e circondato da nazioni ostili.

Molti hanno indagato il legame tra creatività e caos e tra innovazione e contesto culturale. Ecco, Israele ha prodotto un ecosistema di innovazione così efficiente forse proprio perché ha un contesto storico-culturale unico, che lo pone perennemente sull’orlo del caos. Il contesto perfetto per innovare!

 

PS: nel prossimo articolo accessibile qui affronteremo gli altri due cardini della organizational agility di Israele:

  • Gerusalemme, ovvero della diversità
  • Il Kibbutz, ovvero dell’umiltà

 

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Business_agility

[2] “Gerusalemme assediata: Dall’antica Canaan allo Stato d’Israele” – di Eric H. Cline – Ed. Bollati Boringhieri

[3] “The Weapon Wizards: How Israel Became a High-Tech Military Superpower” – di Yaakov Katz, Amir Bohbot – Ed. St. Martin’s Press

[4] “Leading Change” – John P. Kotter – Ed. Harvard Business School Press

[5] Anche qui si potrebbero citare tante imprese, da Entebbe alla cattura di Eichmann, ma se volete farvi un’idea di quello che è riuscito a fare il servizio segreto Israeliano, che ha il quartier generale a Tel Aviv, guardate “The Spy” su Netflix!

[6] “Start-up Nation: The Story of Israel’s Economic Miracle” – di Dan Senore Saul Singer – Ed. Twelve