Disabilità e tecnologia ai tempi del coronavirus: grandi opportunità e grandi rischi – Riflessioni dopo una video-conference con Antonio Giuseppe Malafarina

Disabilità e tecnologia ai tempi del coronavirus (riflessione nata dall’incontro con un amico ritrovato…)

È un normale sabato di coronavirus e alterno un po’ di lavoro arretrato (ormai con la scusa di non poter uscire il lavoro tracima anche fuori dagli orari consueti – non so se questo sia proprio smart) con qualche attività da fare in casa. Innanzitutto stiamo preparando una “palestra ANTI-COVID” per poter resistere a lungo chiusi in casa senza ingrassare di 10 Kg. Cosa più che probabile, visti i compiti a casa e gli esperimenti di Joy. Infatti Joy è al secondo anno di alberghiero e ora che la scuola è chiusa tutte le sue attività di laboratorio si svolgono interamente a casa. Questi sono gli ultimi due compiti che le sono stati assegnati:

Sachertorte con panna fatta in casa e budino agli amaretti! Come potete immaginare, la palestra ANTI-COVID è il progetto strategico più importante della mia famiglia in questo momento. Così potremo continuare a prestare con sacrificio il nostro valido contributo di assaggiatori ai compiti di laboratorio di cucina di Joy.

Ma tornando al tema del titolo, questo sabato è stato per me speciale soprattutto perché ho ritrovato un vecchio amico che non vedevo da un po’, Antonio. Se oltre al nome aggiungo il cognome, Malafarina, a qualcuno si accenderà di certo qualche lampadina (rima non voluta). Per gli altri: vi rimando al blog InVisibili del Corriere della Sera[1] e ai due libri che ha scritto: “Intervista col disabile” e “Poesia”. Un nome una garanzia: Antonio Giuseppe Malafarina!

Ormai per chi come me lavora nell’informatica le video conference sono un male necessario. Ne faccio in media 10 o 12 al giorno e qualcuna anche nel week-end. Ma le video-conf non sono tutte uguali e questa con Antonio è stata di sicuro speciale. Innanzitutto perché ci eravamo un po’ persi di vista dopo la bella esperienza del progetto NavigAbile[2]. E poi perché quando parli con Antonio per 10 minuti, anche se sei cosciente della sua storia personale non facile, ti dimentichi della disabilità e ti rendi conto di avere di fronte semplicemente una persona unica.

Tra le tante cose che ci siamo detti, oltre ad aggiornarci reciprocamente su quanto ci è successo in questi anni, abbiamo parlato di disabilità e tecnologia ai tempi del coronavirus. Come al suo solito, Antonio è partito dal positivo di questa situazione. Ad esempio, il fatto che quasi tutte le università abbiamo reso disponibili on line i loro corsi e che le aziende abbiano attivato finalmente il lavoro da remoto apre prospettive nuove. Per i disabili che hanno problemi oggettivi a recarsi fisicamente al lavoro o in università, ma che possono utilizzare i mezzi digitali, questa è una manna. Le aziende forse avranno meno problemi ad assumere persone con disabilità ora che hanno (finalmente) capito che nel 2020 pensare di “misurare” le persone con le timbrature del cartellino o con il fatto che possano sedersi su una sedia in ufficio non è solo impossibile (i furbetti lo dimostrano) ma anche sciocco.

Però il mondo della disabilità è complesso ed eterogeneo e i nuovi mezzi pongono anche nuove sfide. Pensiamo ai disabili uditivi, ad esempio. La lettura delle labbra del docente era spesso un elemento fondamentale sia per le lezioni che per gli esami. Ora con le lezioni on line, non sempre con video di qualità accettabile e praticamente sempre senza sottotitoli, la situazione si complica. O a tutti i casi in cui l’uso di tecnologie digitali acuisce un “digital divide” già presente nella società italiana, per disabili e non. In queste settimane stiamo vivendo un momento difficile ma anche ricco: disabili e non disabili, siamo tutti sullo stesso piano e in condizioni simili. Sarebbe bello, come mi ha detto Antonio durante la call, che questa crisi diventi un’occasione per ripensare la disabilità e i rapporti tra le persone. Speriamo di non dimenticarcene quando torneremo (spero presto) alla normalità.

Penso che superata la primissima fase di emergenza, non si possa ora non focalizzarci sul fatto che nessuno deve essere lasciato indietro. La transizione digitale che abbiamo vissuto nell’ultimo mese è stata a mio parere positiva (almeno in molti settori) ma anche violenta. Per questo bisogna prestare attenzione a come gestiremo i prossimi passi perché “violent delights have violent ends”.[3]

La regola fondamentale è che bisogna lavorare in modo inclusivo. Perché “Non c’è democrazia se non si pianifica un futuro vitale per tutti”, come ha scritto acutamente Antonio nella chiusura del suo post sull’eugenetica e il coronavirus[4] che vi consiglio di leggere!

[1][1] http://invisibili.corriere.it/author/antonio-giuseppe-malafarina/

[2] http://www.thimoty.it/doc/navigAbile.pdf

[3] https://www.quora.com/SPOILER-In-Westworld-what-is-the-significance-of-the-phrase-These-violent-delights-have-violent-ends

[4] http://invisibili.corriere.it/2020/04/02/pochi-ventilatori-in-america-leugenetica-non-perde-il-vizio/