I Pinguini del Madagascar e la Telemedicina (parte 2): arrivo all’Hopitaly Vezo

I primi giorni all’ospedale di Vezo. More pictures here.

La parte 1 del viaggio può essere letta qui.

Carissima Stella[1],

scusa se ti ho lasciato per un po’ senza notizie, però solo oggi riesco a scriverti due righe. Ieri è stata la giornata del trasferimento tra Toliara e l’ospedale di Vezo. Partenza prevista in fuoristrada tra le 8 e le 9, partenza reale alle 10:15. I primi 80 Km. su strada asfaltata ci hanno terribilmente illuso, perché poi è iniziata la pista e i successivi 120 km sono stati una full immersion nella patria dei Vezo, tribù di pescatori che abita queste coste. Il paesaggio che ci è passato davanti era davvero spettacolare, anche perché per chilometri e chilometri non abbiamo incontrato nessuno. Rivedo ancora quelle immagini che mi scorrono davanti agli occhi: zebu al pascolo, spiagge e scogliere incontaminate, villaggi con bambini che ci salutavano, baobab immensi e saggi…

Il Madagascar è di una bellezza selvaggia, che seduce e poi colpisce. Infatti, quando già ci eravamo fatti coinvolgere da questo scenario idilliaco, ecco che un brutto colpo sulla ruota anteriore destra ci riporta alla realtà. Foratura e stop forzato!

Il nostro autista, con la tipica flemma dei malgasci, non si è scomposto: è sceso e si è messo al lavoro per cambiare la gomma. Naturalmente proprio in quel momento, dopo ore di tranquillità senza incrociare un veicolo, un camion che procedeva in senso inverso lo ha costretto ad interrompersi per spostare l’auto e farlo passare. Gestito il problema traffico, il nostro autista si è rimesso al lavoro. Piccolo brivido quando, a causa della sabbia instabile il crick dell’auto ha ceduto, ma il nostro fido autista per fortuna si è sfilato come un gatto. Comunque, alla fine siamo riusciti a rimetterci in marcia con la ruota sostituita.

Siamo ripartiti e poco dopo (erano le 14 passate) ci siamo fermati in un bellissimo resort gestito da una intraprendente italiana per mangiare un filetto di cernia buonissimo e poi via, verso la parte più impegnativa della pista. Ormai ci muovevamo a non più di 15-20 km all’ora su tracce che alternavano sabbia instabile a rocce taglienti, il che ci rendeva tragicamente coscienti che il bonus ruota di scorta ce lo eravamo già giocato. Vito, per tranquillizzarci, ci raccontò di quella volta che a causa di un guasto furono costretti a passare parte della notte all’addiaccio, fino a che il meccanico più esperto del paese (chiamato “mon pere”, perché è anche il sacerdote cattolico del villaggio) non venne a salvarli riparando il motore. Poco dopo le 19, frollati a dovere dopo nove ore di sobbalzi, siamo arrivati all’ospedale. Accoglienza fantastica da parte dei volontari presenti, gustosissima cena all’aperto e, sempre per riportarci alla realtà, nottata torrida chiusi sotto le zanzariere. La notte è stata tormentata. La scena era più o meno questa: io e Giorgio che russavamo sonoramente a turno, con Piero che ha passato la notte a chiamare alternativamente “Giuliano – basta russare – e a seguire improperi in sardo” oppure “Giorgio – psssstt – smettila – e a seguire altri improperi in sardo”. Io naturalmente ho sentito solo la parte rivolta a Giorgio e lui solo quella rivolta a me. Alla fine, abbiamo messo ai voti (2 su 3 favorevoli) e deciso per il trasferimento forzato di Piero in un’altra camera. Insomma, il suo non riuscire a dormire cominciava ad essere un disturbo per me e Giorgio!

L’incontro con l’ospedale di Vezo è stato da subito coinvolgente. La struttura non è grande, ma assiste circa 25.000 pazienti l’anno ed è divisa in due corpi, ciascuno costruito intorno ad un cortile. Nel primo ci sono gli ambulatori per i pazienti esterni, nell’altro le sale operatorie, le degenze e la radiologia. Le persone cominciano ad arrivare la mattina presto riempiendo il cortile, ma il picco è a metà mattina perché molti vengono da lontano, anche da Toliara.

Infatti, anche negli ospedali pubblici le cure sono a pagamento e la maggior parte della gente non se le può permettere. Ecco, ora che ci penso non mi lamenterò più del tragitto in fuoristrada: non oso immaginare cosa voglia dire per chi non può permettersi le 9 ore in auto farsi il tragitto Toliara/Ospedale su mezzi di fortuna, magari anche in condizioni precarie di salute. Lo staff della clinica lavora ininterrottamente dalle 7:30 all’ora di pranzo e poi su turni nel pomeriggio. Onestamente mi mancano le parole per descrivere cosa significhi questo servizio: lo si può intuire un po’ guardando le decine di persone in attesa: bambini, tante donne, vecchi. Ciò che ti resta sono i volti: la signora anziana quasi cieca da un occhio, che ti guarda rassegnata mentre aspetta paziente seduta per terra. Gli occhi nerissimi della bimba incuriosita dai nuovi arrivati, che ti sbircia dalla porta socchiusa e ti parla stupita che tu non capisca, mentre la sorellina la richiama a sé. Le donne con le facce dipinte sdraiate sulle panche, perché non riescono a reggersi sedute. I tanti giovani e vecchi con le bocche contorte in coda dal dentista, dove di solito arrivano con i denti devastati (qui la prevenzione non esiste). Il volto sofferente del ragazzo che arriva in urgenza per un morso di coccodrillo alla gamba. Insieme a questi, gli altri volti che non mi scorderò mai sono quelli dei volontari che si prendono cura dei pazienti. In questo periodo non ci sono medici e chirurghi affermati, che pure vengono spesso qui a dare un contributo preziosissimo. In questi giorni l’ospedale è mandato avanti da un fantastico gruppo di ragazzi e ragazze terribili. Incontrare loro è stata una delle esperienze più significative che abbia mai fatto e vederli all’opera mi fa pensare che forse dovremmo cominciare ad investire davvero tempo ed energie, non solo retorica, sui giovani. O forse loro sono già oltre e sanno trovare da sé la loro strada, come hanno fatto questi ragazzi. Con freschezza, con semplicità, con pazienza e spesso con un sorriso si avvicinano ai pazienti, li guardano come delle persone e li curano. È tutto qui quello di straordinario che fanno. Sono medici, specializzandi, farmacisti, infermieri, odontoiatri… ma per me sono Mattia, Caterina, Anna, Elena, Lory, Silvia, Cucciolo (Vincenzo), Michela e Michela: semplicemente giovani uomini e donne che si avvicinano ai malati considerandoli delle persone. E dopo giornate impegnative, la sera si ritrovano tutti nel cortile della residenza dei volontari: senza (o quasi) internet, senza Netflix, a volte senza luce (quando le batterie dei pannelli solari si esauriscono si spegne tutto), passano le serate a chiacchierare, a cantare o a giocare. E vi assicuro che si divertono!

Anche noi oggi finalmente siamo riusciti a metterci al lavoro.  Il dream team dei Pinguini del Madagascar ha installato e configurato la postazione di teleconsulto: da oggi l’ospedale di Vezo, oltre ai volontari in loco, sarà connesso con 150 medici specialisti.

Magia della tecnologia, ma soprattutto magia di questa squadra incredibile: Debora, Piero e Giorgio, che per questi due giorni di lavoro si sono sobbarcati 6 giorni di viaggio.

Grazie anche a GHT e a tutti i medici volontari del network; ma soprattutto credo che vadano ringraziate le persone che a Vezo ci vivono e lavorano. Oltre agli incredibili volontari presenti in questo momento, di cui ho scritto poco prima, non si può non pensare al lavoro instancabile del Presidente dell’Associazione Amici di Ampasilava Vito Pedrazzi, i tanti medici esperti che si alternano in missione e che arriveranno soprattutto durante le vacanze (perché la maggior parte di loro viene qui a lavorare prendendo ferie), il personale che si occupa della logistica come la simpatica ed energica Morena e tutti quelli che supportano l’Associazione Amici di Ampasilava.

Ora sono passate le nove ed è quasi ora di andare a letto qui. Fra poco mancherà la corrente e, come dice Debora, non è bello trovarsi con lo spazzolino in bocca senza luce (non è una metafora, è l’esperienza di ieri sera). Mi viene un’ultima riflessione. Credo che si dovrebbe proporre la “cura Vezo” a chiunque sia sopraffatto dal pessimismo, a chi mi dice che il mondo o l’Italia o qualunque altra cosa non abbia futuro, che domani sarà peggio… qui si vede, pur nella sofferenza, uno squarcio di futuro migliore: venite e vedete (sempre che vi piacciano i lunghi viaggi in fuoristrada per esplorare i confini del mondo)!

PS: altre foto le potete trovare su Instagram a questo link.

La parte 3 (ultima) del viaggio la trovate qui, mentre la parte 1 può essere letta qui.

 

 

 

[1] Stella è il nostro bellissimo cagnolino, mia musa ispiratrice per tutto ciò che riguarda la tecnologia, con cui a volte comunico tramite scambi epistolari… o via social: https://www.instagram.com/_.stardog._/